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Altro che le primarie, contro le urne vuote servono iniziative serie

 
Pino Pisicchio

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Pino Pisicchio

Elezioni comunali

Se la missione è quella di ridurre la divaricazione tra popolo e rappresentanza bisognerà agire con tutte le risorse disponibili

Domenica 22 Ottobre 2023, 13:57

C’è un paradosso che si manifesta ad ogni vigilia dei turni elettorali: ad una sovreccitazione febbrile della comunità politica che occhieggia dai media, corrisponde un’indifferenza sempre più glaciale del popolo sovrano. Puntualmente, poi, gli esiti delle urne confermano le proporzioni della disaffezione, registrando l’abbandono delle urne.

Inquieta la desertificazione che si è fatta intorno ai seggi in occasione delle Regionali di quest’anno: solo il 40% degli aventi diritto è andato a votare. Già alle politiche del settembre 2022 avevamo registrato il minimo storico di partecipazione, con l’asticella intorno al 52%. Né è andato molto meglio alle Comunali. Era lecito supporre che nei territori, dove il rapporto candidato e popolo è di prossimità, il livello di partecipazione avrebbe potuto mostrare esiti migliori, invece il «locale» ha risposto peggio del nazionale. Chiariamo: non è una debilitazione democratica solo italiana. L’abbandono delle urne è un problema serio per tutto il mondo occidentale di cui noi abbiamo rappresentato, però, sempre l’eccezione virtuosa, registrando in passato partecipazioni oscillanti fra l’ottanta e il novanta per cento.

Dunque, l’abbandono delle urne - drammatico soprattutto nelle giovani generazioni che hanno totalmente rimosso la voce «politica» dalle loro agende - non è solo un dispiacere «estetico», ma rappresenta un’alterazione del processo che designa il governo: se a votare ci va solo il 40% degli elettori, per governare basterà poco più del 20%. Una minoranza, poco più di un quinto degli aventi diritto, detterà legge anche a tutti gli altri. Paradossale anche questo: nella stagione che segna l’accesso ai ruoli di rappresentanza di persone del tutto prive di esperienza e competenza politica - è il tempo che registra la fine dei partiti, i «formatori» storici del ceto politico - ecco che i decisori diventano un gruppo ristretto di oligarchi espressi da un gruppo minoritario di cittadini.

Per chi è allestito, allora, questo lavorio della politica per una votazione, amministrativa ed europea, che si svolgerà solo tra otto mesi? La politica parla a se stessa, non avendo una più base di militanti, lancia segnali esoterici ai suoi iniziati, alleati e no. Qualche volta escogita procedure mutuate da esperienze di altre culture: si pensi alle primarie, nate e pasciute negli Usa. Andrebbe ricordato, però, che l’esperienza americana si giustifica in un contesto in cui i partiti come organizzazione stabile sono sconosciuti, rappresentando soltanto dei comitati elettorali temporanei.

Da noi queste procedure racconterebbero il definitivo collasso del partito e la sua rinunzia conclamata a svolgere quel ruolo che la Costituzione riconosce loro. Continuiamo a sperare che non sia così. In attesa di rivedere in circolazione partiti fatti di idee, persone, popolo e organizzazione, assistiamo alla proliferazione delle liste civiche. A ben vedere, però, il civismo può essere una risposta all’indifferenza, all’abbandono delle urne, alla desertificazione del dibattito pubblico, ma a patto che la degenerazione che ha strangolato i partiti democratici facendone «partiti personali», non contamini anche le liste civiche. Non sono e non possono essere solo degli strumenti di promozione del ceto politico che se le intesta, in un contesto di indifferenza di contenuti e di valori.

Insomma, se la missione è quella di ridurre la divaricazione tra popolo e rappresentanza bisognerà agire con tutte le risorse disponibili stimolando comunità politiche di cittadinanza attiva. Non meccanismi per la riproduzione di ceto politico in delirio solipsistico.

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