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Ma di che colore è la cultura? In ogni caso, solo la qualità vince

 
Pino Donghi

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Pino Donghi

Ma di che colore è la cultura?  In ogni caso, solo la qualità vince

Impazza la polemica su nomine e conduttori, ma i giovani seguono soprattutto le serie Tv

Venerdì 02 Giugno 2023, 13:47

Da giorni – ma è una discussione periodica – si legge della cultura di destra e di sinistra, dell’egemonia (qualche volta rivendicata) di quest’ultima, e di una pretesa revanscista (spesso minacciata) della prima. L’impressione è che, sotto sotto, il problema si riduca semplicemente (semplicisticamente!) alla direzione e conduzione dei Tg della televisione di Stato, alla scelta dei conduttori dei talk-show, e pochissimo di più. Questo non è un Paese per giovani. Mi spiego: quanti tra i nostri ragazzi (che sono e saranno sempre meno di noi, figli del boom) si può immaginare abbiano saputo e si siano mostrati felici/inquieti della sorte televisiva di Fabio Fazio e Lucia Annunziata?

Non è una questione marginale, ben inteso, ma l’impressione (almeno di chi scrive) è che la preoccupazione, in un senso o nell’altro, appartenga alle generazioni di chi, a seconda dei casi, si sente emarginato dal nuovo corso, quale che sia, o speranzoso di avere finalmente una occasione di visibilità. Per dire, invece: le serie televisive su Netflix o Prime, quelle che i nostri figli, e molti di noi con loro, seguono avidamente, sarebbero di destra o di sinistra? Se voglio esercitare un’egemonia culturale sui giovani-futuri-adulti di questo Paese, mi conviene controllare il TG1 o produrre X Factor? La risposta facile è: tutti e due! Pure, sempre a mia impressione, per alcuni continua a essere più importante il primo: credo sbagliando.

L’ironia viene e facile, e il commiato di Michele Serra a Che tempo che fa, chiedendo al pubblico se Topo Gigio fosse di destra o di sinistra, conquista più di un sorriso. Personalmente aggiungerei il genio di Arbore e Boncompagni: erano goliardi di destra? Dove collocarli? La lottizzazione non l’ha ha inventato questo governo: mal comune senza alcun gaudio, certamente non per lo spettatore. Pure, senza quindi voler sottovalutare o, peggio, giustificare, tutto suona un po’ surreale.

Torno alle serie televisive: è opinione del direttore di questo giornale, Oscar Iarussi – che io condivido pienamente –, che una parte non marginale del narrativo abbia trovato casa in queste nuove «forme» di racconto. Detto in altri termini: magari i giovani non leggeranno moltissimo (ma i dati non sono poi così ovvi), pure la qualità di alcune produzioni non ha nulla da invidiare alla buona letteratura: Breaking Bad, per dire di una che mette d’accordo molti. Ha senso chiedersi se sia di destra o di sinistra? C’è qualcuno che si sia mai chiesto a quale partito abbia dato il voto Colin Bucksey, che ne è il produttore e anche regista di alcuni episodi? È perché è meno capace – di Che tempo che fa - di plasmare il nostro immaginario e, magari, cambiare qualche convinzione? Ne dubiterei.

Se c’è un’opinione sulla quale pochi dissentono, è che Dallas e J.R. hanno inciso sul costume e, addirittura, sulla nostra antropologia molto più di qualsiasi conduzione di Tg: la televisione commerciale, quella sì è stata una rivoluzione. Che il condottiero sia stato Silvio Berlusconi, ha fatto pensare e dovrebbe essere ancora oggetto di riflessione, per tutti. Se non è stata egemonia culturale quella, cos’era? Francamente, riandando con la memoria alla lunghissima stagione inaugurata negli anni ‘80, trovo alcuni attuali piagnistei fuori luogo: davvero c’è stata un’egemonia della sinistra? Forse lo pensano coloro che confondono la cultura con il profilo del lettore forte (e sono molti a sinistra, per altro), ma cinema, televisioni (al plurale), teatro, balletto, arti figurative… e vogliamo parlare della scienza?

Certo, in questo Paese siamo anche riusciti a far passare la cosiddetta «cura» Di Bella come di destra, in opposizione alla chemioterapia, di sinistra… che Dio ci perdoni!

Capisco che queste poche righe possano suonare come l’ennesima variante del «benaltrismo», ma se, gratta gratta, per cultura di destra o di sinistra si intende come la pensa, e come vota, il tal scrittore piuttosto che un conduttore d’orchestra, un biologo di fama o un archistar… mah! A quale cultura apparterrebbero, Le benevole di Jonathan Littell o Vita e destino di Vasilij Grossman? L’egemonia culturale la determina la proprietà di una casa editrice o il suo catalogo? Molte domande a cui, mi pare, non è così ovvio rispondere.

Se c’è un’egemonia culturale che trovo pervasiva e di segno indiscutibilmente negativo, è quella della Tv sull’editoria: entrare in una libreria, e contare i libri a firma di personaggi televisivi, per credere. Questo è un fenomeno su cui concentrerei attenzione e critica

Ps: per chiarezza e rispetto dei lettori di questo giornale: sono sempre stato un elettore di centro-sinistra. A chi oggi rivendica un’egemonia troppo a lungo soffocata, consiglierei di avere qualcosa da raccontare. Sarebbe triste, conquistata la poltrona e la scrivania, ritrovarsi con un foglio bianco difficile da riempire. L’egemonia la si esercita con le idee.

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