L’anniversario di don Lorenzo Milani, celebrato a Barbiana dal presidente Mattarella e dal cardinale Matteo Zuppi della Cei, si è svolto sotto due parole che, nei fatti, ancora oggi, sembrano contrapposte, dando origine a molti fraintendimenti, non solo di natura pedagogica, ma anche politici: merito e uguaglianza. Con molta chiarezza tanto il Capo dello Stato che Zuppi hanno saputo - e voluto - mettere al centro del ricordo e dell’analisi di don Milani il suo impegno “per una scuola che sappia fare del merito la via per uscire dalle disuguaglianze”, affinché le aule non si trasformino in luoghi per curare “i sani” tralasciando “i malati”.
Un noto paragone milaniano decisamente forte (come tipico della sua scrittura), ma utilissimo per riuscire a sintetizzare tanto la missione evangelica e generatrice dentro il ruolo dell’insegnamento, quanto il credo laico della Costituzione italiana, che ha costruito un’idea efficace di scuola. Si potrà pensare che quest’anniversario sia stato il ricordo di un’epopea, una preistoria riassuntiva della scuola italiana, un tentativo di un sognatore poi inglobato male dal Sessantotto, invece è l’attualità, collegata ai temi dell’educazione e dell’istruzione nel mondo. Com’è evidente dai report più aggiornati, le disuguaglianze non solo non arretrano, ma spesso sono addirittura giustificate dalla falsa retorica che si nasconde dentro la parola “merito” (traducibile, in alcuni casi, in “chi più può, più rende e più può migliorarsi”). Che modello crudele sta diventando la meritocrazia, che, nella sua etimologia finale greca, presuppone già il fastidioso concetto della forza e della prepotenza?
E quale lezione ci arriva dal Priore di Barbiana, il quale seppe contestare, già per se stesso, una vita che gli era stata “apparecchiata” in un certo modo dalle sue origini sociali di buon livello? Per continuare la riflessione è utile ricordare il saggio introduttivo dello storico Alberto Melloni, in apertura del bel Meridiano Mondadori, dove si accenna all’autentica democrazia perseguita dal Priore. Scrive Melloni: “[…] la scuola di Barbiana non è un exemplum pedagogico, ma una utopia irreplicabile. La democrazia sostanziale e addirittura il patriottismo costituzionale non vengono usati come metro di deprimenti paragoni per la Resistenza tradita o di entusiastico superamento rivoluzionario dello status quo; appaiono invece come prospettive dal riscontro immediato, dove quel tutti, a cui si vuol rivolgere con la sua scrittura, fa rimbalzare la sua veemenza sulla Chiesa”. E che vuol dire “irreplicabile”? Un aggettivo controverso, che è da intendersi in maniera neutrale, individuando nel metodo Milani un’idea in evoluzione, da far uscire da quel confine geografico/ temporale, collocando alcuni capisaldi nelle altrettanto solide basi della Costituzione italiana
Molto è stato già detto e scritto su come la Chiesa non abbia subito saputo comprendere il modello di Barbiana e, ancor più puntigliosamente, si potrebbe dire che perfino la scuola dei nostri giorni non ha saputo cogliere quel messaggio, che invece è un utile viatico per il nostro tempo. Sono tanti gli aspetti da evidenziare. Ne ricordiamo uno. La proposta del Priore, per esempio, andava e va, ancora oggi, a demolire quel falso mito delle “attitudini” degli alunni: un mito creato dai maestri per non far fatica. Dice don Lorenzo: “Al maestro fa comodo. Il ragazzo ci si adagia. Se un ragazzo è portato per una materia bisogna impedirgli di studiarla. Ci sarà tempo, dopo, per i signorini di chiudersi nelle loro specializzazioni; […] Noi cittadini sovrani dobbiamo essere uguali e uguale è solo chi è aperto a ogni interesse, senza limitazioni”. E’ evidente che il messaggio di Milani conteneva delle audaci provocazioni, ma gli eventi stantii della storia, molto spesso, vanno demoliti proprio con provocazioni (e il pensiero va – oggi – agli ambientalisti di Ultima Generazione). Nel ’68, don Lorenzo fu raccontato anche da un bell’articolo sull’Europeo, dal titolo Contesta il padre e la madre. Questo pezzo aveva saputo cogliere il valore costruttivo di alcune provocazioni. Non va neanche dimenticato, però, che Milani stesso, spesso, insegnava a esser scettici verso la stampa, in tanti casi asservita agli interessi dei proprietari, dei grandi gruppi industriali o della politica.
In conclusione…L’attenzione odierna all’opera di don Milani da parte della Chiesa “in uscita” di Francesco ha radici storiche non trascurabili: furono proprio i gesuiti ad avere un ruolo importante nella “riabilitazione” pubblica dell’autore. Su La Civiltà Cattolica si pubblicò un primo articolo delle Esperienze pastorali, il primo e unico libro firmato Milani (l’articolo si intitolava Un profeta del nostro tempo?). Da menzionare anche un contributo del 2007, sempre sulla rivista dei gesuiti, dal lungimirante titolo don Lorenzo Milani: un prete “schierato” con il Vangelo.