Secondo un Giudice del Tribunale di Bari (come ha raccontato ieri la «Gazzetta» in un articolo di Massimiliano Scagliarini) è illegittimo licenziare un lavoratore che ha accumulato in tre anni ben 170 giorni di assenza per lo più coincidenti con ponti, weekend, periodi di festività, ecc. In effetti la giurisprudenza è costante nel ritenere che il periodo di comporto per essere superato deve riguardare un determinato numero di giorni di assenza dal lavoro.
Ma il merito di quanto avvenuto è un altro e andrebbe affrontato subito, non solo in una sede lavoristica. Oggi un datore di lavoro pubblico o privato è ostaggio di queste situazioni dove lavoratori, sostenuti da alcuni medici di base compiacenti, decidono loro come far proseguire l’organizzazione di una Azienda.
Sì è proprio così. Perché innanzi a una comunicazione di malattia l’Azienda non può fare altro che sostituire il lavoratore e, se ritiene, disporre una visita fiscale. Ma questa è quasi sempre infruttuosa perché arriva tardi, oppure perché non fa altro che confermare la diagnosi stabilita dal medico di base del lavoratore.
Ma nel momento in cui questo lavoratore quasi sistematicamente si assenta dal lavoro con il supporto determinante del suo medico di base nei periodi festivi, prefestivi o per esempio quando gli vengono negate le ferie per motivi organizzativi, non è il caso di accertare tramite la polizia giudiziaria la fondatezza degli atti prodotti a supporto della malattia per verificare se sia vera o immaginaria e quindi da destinare - soprattutto nel caso di azienda pubblica - a un procedimento penale per truffa allo Stato? È ignobile che oggi con la disoccupazione galoppante vi possa essere chi si approfitta dello Stato per interessi personali. E sarebbe davvero intollerabile appurare che il medico sia stato compiacente.
Nei casi come questo andrebbe interessata la Guardia di Finanza o il Nas affinché possa essere accertato quale sia l’effettivo impedimento che ha causato l’esborso di contributi da parte dello Stato e il danno conseguente per l’Azienda costretta a sostituire il lavoratore, anche per capire semmai che potrebbe esistere una nuova «patologia» che aggredisce certi lavoratori esclusivamente nei weekend o nei periodi festivi con buona pace di tanti altri «fessi» lavoratori semmai obbligati anche durante il proprio giorno di riposo a sostituire l’assenza seriale del collega che a Natale, Capodanno, Pasqua, il 25 aprile o il 1° maggio diviene improvvisamente vittima di una sindrome più vicina al Codice Penale che al prontuario delle malattie.