GRAVINA IN PUGLIA - Il fascino di un’opera colossal, piedistallo identitario della civiltà locale, incontra la storia millenaria scritta e rappresentata nei suoi ipogei, lì dove trionfano i segni inequivocabili di una compresenza di culture, «tracciata», come in pochi altri casi, con graffiti a «sanguigna». È sulla collina governata dal Castello Svevo, voluto da Federico II, che nelle ultime settimane si stanno concentrando archeologi, ricercatori e architetti, italiani e non; inizialmente giunti a Gravina per portare avanti progetti differenti, hanno ora avviato una piena collaborazione che coinvolge l’Ateneo di Chieti-Pescara, le Università di Innsbruck e Berlino guidate dagli archeologi Kai Kappel dell’Università «Humboldt» di Berlino e Klaus Tragbar della Statale di Monaco di Baviera, con l’ausilio dei professori Fulvio delle Donne e Francesco Panarelli, medievisti dell’Università della Basilicata.
In particolare, il team abruzzese sta portando avanti indagini sul sottosuolo, nell’ambito di uno studio guidato da Carlo Tedeschi, professore ordinario di Paleografia presso l’Ateneo, che rientra nel progetto «Graff-IT: Writing on the Margins. Graffiti in Italy 7th-16th c.», finanziato dall’European Research Council. Il lavoro, che prevede la schedatura dei graffiti di epoca medievale dell’intero Stivale, allo scopo di creare un database dei graffiti italiani per certificare la cultura scritta, trasmessa da fonti testuali e figurative a carattere «non ufficiale» rappresenta il primo censimento estensivo. «Da un primo rilievo - spiega la dott.ssa Sabrina Centonze - abbiamo potuto appurare che il 95 per cento dei graffiti presenti è di tipo figurativo e di non immediata interpretazione, in quanto necessitano di essere contestualizzati nel periodo di riferimento; si tratta in ogni caso di scene concatenate tra loro. Per il resto, vi è la presenza di graffiti alfabetici medievali in lingua araba e latina, a conferma della compresenza di più culture che in periodo svevo era consuetudine».
Durante la prima tappa, la squadra universitaria è stata accompagnata dal gruppo speleologico CARS di Altamura, che ha coordinato la sicurezza, da Renato Gonsalvo e Giuseppe Lorusso del centro Studi Federiciani per il supporto logistico. Nelle prossime fasi, l’Università di Chieti-Pescara prevede di eseguire un approfondimento diagnostico non invasivo che consenta l’acquisizione di nuovi dati anche sul pigmento utilizzato per realizzare i graffiti che è di colore rosso ocra. Dal canto loro, i docenti Tragbar e Kappel, hanno avviato una indagine stratigrafica su murature e prospetti del Castello, nell’ambito di un progetto che coinvolge anche i siti lucani di Lagopesole e Palazzo San Gervasio.
Orgoglio dalle parti della Fondazione Pomarici-Santomasi proprietaria del Castello. «Sin dal primo giorno siamo stati lieti - commenta il presidente dell’ente morale Filippo Tarantino - di favorire le ricerche sul Castello. Mi piacerebbe rendere noti i primi risultati dei lavori alla comunità scientifica e a un più vasto pubblico, sebbene per il momento ho solo registrato l’impegno dei docenti a organizzare una visita guidata a settembre in occasione dei Dialoghi di Trani nell’entroterra murgiana». Soddisfazione condivisa dai componenti del centro Studi Federiciani, tra cui spicca il contributo di Vita Giulia Manes, che hanno creduto appassionatamente in questa ricerca coinvolgendo esperti e studiosi tra i migliori al mondo, impegnati in un lungo studio sulle peculiarità strutturali del maniero federiciano.