«Una figurina era paragonabile a un santino, averla in tasca era come impossessarsi della forza di quel campione; completare un album era qualcosa di irripetibile: oggi, le “figu” hanno perso il valore esclusivo che avevano agli occhi di un bambino». Luigi Garlando, giornalista della «Gazzetta dello Sport», presenta così L’album dei sogni (Mondadori, pp. 528, euro 19,50), il suo romanzo sulla famiglia Panini, inventrice delle figurine dei calciatori. Alla libreria Laterza di Bari, in occasione della «Biennale dei Racconti d’impresa», ne parleranno oggi alle 18 il giornalista Lino Patruno e Pasquale Loseto, storica bandiera del Bari. Garlando parteciperà all’evento in collegamento video, dialogando con i due ospiti.
Garlando, quando pensa alla Puglia e al calcio, cosa le viene in mente?
«Una terra di grandi passioni e gente innamorata del calcio. Sono venuto tante volte in Puglia, ci torno volentieri, conservo ricordi bellissimi e amicizie importanti. Non sarebbe male, se quest’anno fosse promosso anche il Bari».
Giocatori e tecnici pugliesi dei quali conserva un ricordo?
«Penso al Foggia di Zeman, a quello di De Zerbi, due grandi tecnici: ho sempre preferito un calcio “giochista” a quello “risultatista”. Profondamente sacchiano, penso che un tecnico non debba badare al solo risultato. Stimo Pantaleo Corvino: anche quest’anno ha messo in piedi un’ottima squadra. Poi ricordo Igor Protti, ai tempi del Bari, in serie A; quando cominciò a far gol mi mandarono ad intervistarlo: persona deliziosa; Delio Rossi, ai tempi del Lecce, allenava e leggeva libri, guardava oltre il calcio».
Cosa evocano le figurine, cosa è cambiato?
«Come tanti bambini, anche io ero un appassionato. I giocatori li vivevi solo così, la figurina aveva una sacralità: in radio esisteva “Tutto il calcio minuto per minuto” e in tv un tempo di una partita. Oggi è un “Paese dei balocchi”: tante tv e una indigestione di immagini».
Da cosa è partito per scrivere questo libro?
«Mi sono fatto aiutare dalla famiglia Panini, il libro lo abbiamo scritto insieme: mi hanno messo a disposizione documenti, lettere, filmati d’epoca. Mi sono piaciuti i valori: il pudore della ricchezza, loro che hanno fatto i miliardi veri; non hanno mai ostentato questo enorme benessere, al contrario di tante altre famiglie italiane che hanno sfondato, comprato yacht, barche e altri simboli della ricchezza; fossi stato ricco come loro, confesso, avrei assecondato almeno un capriccio, mi sarei detto: sono a Modena, mi compro una Ferrari…».
Romanzo d’altri tempi.
«La famiglia Panini: una piazza aperta, mai un castello nel quale nascondere i soldi. Quattro fratelli, quattro mattoni sui quali hanno costruito un miracolo, facendo sempre squadra, conservando un’unità familiare. Questi sono i valori che mi hanno fatto innamorare della famiglia Panini. La loro è stata una missione: restituire alla loro città, Modena, quello che da questa avevano ricevuto; le prime figurine le imbustavano gli stessi Panini, i familiari, gli amici; quando il fenomeno è cresciuto hanno aperto alla città assegnando lavori a domicilio a centinaia di modenesi: tutta la città imbustava figurine vendute in tutta Italia, un miracolo collettivo».
Dagli autografi ai selfie. All’album dei nostri sogni oggi manca un calcio più umano e meno social.
«Impossibile tornare indietro. Ho cominciato trent’anni fa. Ogni giorno ero a Milanello, potevo scegliere liberamente: “Scusa Marco, ti fermi un attimo?” e intervistavo Van Basten. E dopo pranzo giocavo a bigliardo con Sebastiano Rossi e Donadoni: oggi i giocatori sono lontani dalla stampa, dalla gente, il calcio è stato disumanizzato. Sarebbe bello tornare ad accorciare le distanze, raccontare storie, cercare di capire come mai ragazzi giovani e belli come Fagioli e Tonali buttino via un sogno».