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Addio a Gosaku Ota, «matita» e genio di Goldrake: la rivincita dei samurai

Addio a Gosaku Ota, «matita» e genio di Goldrake: la rivincita dei samurai

 
Leonardo Petrocelli

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Leonardo Petrocelli

Addio a Gosaku Ota, «matita» di Goldrake

A 74 anni per complicazioni da Covid. Disegnò anche Mazinga Z e Jeeg Robot

Mercoledì 04 Gennaio 2023, 11:56

05 Gennaio 2023, 17:10

Il 4 aprile del 1978 fece irruzione nel palinsesto di Rai2 un «cartone animato» - così come da italica e un po’ giurassica definizione -, destinato a cambiare la storia del racconto per immagini: era Goldrake, il «robottone» apripista di una lunga serie di giganti meccanici giapponesi, rimpolpata, l’anno dopo, dall’arrivo di Jeeg Robot e nel 1980 dal più celebre Mazinga Z.

Tutti eroi di ferro, alti come palazzi di venti piani, partoriti dal genio creativo di Go Nagai e messi su carta dalla matita illuminata di Gosaku Ota, il 74enne disegnatore scomparso per complicazioni legate al Covid. La morte, in realtà, è avvenuta il 12 dicembre 2022 ma, per volontà della famiglia, la notizia della dipartita è stata resa pubblica soltanto ieri.

Un altro pezzo della «Goldrake generation», dunque, è volato via. Per qualcuno, soprattutto alle latitudini dove dilaga un certo snobismo radical, Ota potrebbe essersi in fondo limitato a tratteggiare storie di ordinario infantilismo. Bene, male, mostri, esplosioni, combattimenti fantascientifici. Per intenderci, nulla a che vedere con le raffinate e universali allegorie di un Miyazaki.

E tuttavia, quel mondo a tratti grossolano è stato, contemporaneamente, specchio dell’anima di un popolo e leva per il suo riscatto dopo il tracollo bellico. I robottoni di Nagai e Ota non hanno nessuna volontà imperialista, non combattono mai per offesa ma sempre per difesa, quasi a ricordare al mondo che la smilitarizzazione forzata del Giappone fu una mutilazione della propria capacità di tutelarsi, più che un freno alle tentazioni belliciste. Allo stesso modo, lo scontro col nemico - che spesso assume i tratti del nazista, quasi uno smarcamento dal passato (allora) recente - si conclude puntualmente con un’esplosione atomica. Un’immagine che ricorre ossessivamente in ogni puntata quale forma di metabolizzazione del lutto, certo, ma anche come rimprovero postumo all’antico avversario americano: chi ha spezzato la spada del Giappone è anche chi lo ha gratuitamente devastato da due bombe senza ritorno.

Fin qui, il racconto di sé. Ma è nella proiezione esterna che, attraverso i manga e gli anime, cioè i fumetti e i cartoni, il Giappone ottiene la più inaspettata delle vittorie: la nazione sconfitta nel conflitto mondiale conquista l’immaginario dei giovani d’Occidente con una catena di eroi, umani e robotici, che ne trasmettono il codice culturale, sotto il velo della fantasia. I nuovi samurai entrano nelle case d’Europa dalla porta principale: la televisione. È l’unico controcanto alla narrazione disneyana che ha grandi numeri ma poca forza di penetrazione, anche in virtù della propria «melassa» valoriale, oggi come allora intrisa di zuccheroso politicamente corretto. Il messaggio raggiunge i bambini, non c’è dubbio, ma in un contesto totalmente inoffensivo: il divano familiare, la serata con gli amichetti, il film di Natale al cinema con i pop-corn in mano tra mamma e papà.

I cartoni giapponesi si consumano invece in modo solipsistico, nel buio della cameretta, in una età un po’ meno verde e glassati dal gusto del proibito. I genitori ne diffidano. Sono crudi, violenti, senza sconti. E per questo seducono. Ma fra una esplosione e un braccio saltato, ti sussurrano di coraggio, eroismo, sacrificio, cavalleria. Prendono i grandi miti dell’Occidente pagano (si pensi ai Cavalieri dello Zodiaco di Kurumada) e di quello cristiano (il Mao Dante di Nagai) e li ripropongono a una gioventù che dovrebbe averli scolpiti nel Dna e invece non li conosce affatto perché nessuno gliene parla. Un po’, si sa, odorano di fascismo, un po’ all’opulenta società da bere degli Ottanta non interessano granché. Al massimo ti piove Hercules della Disney. Ma, appunto, è intrattenimento ilare. Nel frattempo i cartoni giapponesi lavorano ai fianchi, scavano nel pensiero, appassionano. E vincono la grande guerra dell’immaginario. Genio e matita. Come quella, straordinaria, di Gosaku Ota.

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