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Sublime Carmelo Bene una «felice assenza»

 
Giancarlo De Cataldo

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Giancarlo De Cataldo

Sublime Carmelo Bene una «felice assenza»

Domani i venti anni della scomparsa. Un «patrimionio dell’umanità», spirito grandioso da riconoscere. C’è tanta Puglia in «Salomé», tanta Storianel suo Dante «antifascista»

Martedì 15 Marzo 2022, 07:00

09:25

Carmelo Bene dovrebbe essere riconosciuto patrimonio dell’umanità. Con discrezione, però, senza troppa enfasi e lontano da ogni retorica. Non foss’altro per non turbare i vent’anni della sua «felice assenza» che ricorrono in questi giorni: il non- esistere, il non-essere qui e adesso, sino all’estremo dell’assenza, furono fra le sue aspirazioni più costanti. In qualche caso, fra le realizzazioni più controverse: una Biennale di teatro senza palcoscenico, spettacoli senza pubblico, cose di questo genere. Sublimazione della forma, sfida alle intelligenze: provocazione è un termine troppo abusato per poterglielo attribuire.

Ma pure dall’assenza, uno spirito così grandioso non può che continuare a irradiare bagliori, proiettare messaggi, disseminare inquietudine. Ritrovi, per dire, una scintilla di CB nel recentissimo Libri che mi hanno rovinato la vita di Daria Bignardi: confessato il suo periodo CB scandito da Hommelette for Hamlet, l’autrice rievoca l’inizio dell’avventura, ossia l’ardita impresa della messa in scena del Caligola di Camus. Il fresco premio Nobel ha ritirato dalle scene il suo dramma, vietandone la rappresentazione. CB, appena ventenne, va a trovarlo a Venezia e lo convince a cedergli gratis i diritti. Come abbia fatto, resta leggenda. Il fatto è che con CB c’era un altro giovane, bizzarro spirito pugliese, il tarentino Franco Cuomo. Lui, testimone diretto, la raccontava così: più che la persuasione, funzionò la fratellanza alcolica che i ragazzi venuti dal Sud suggerirono e Camus, che si portava ancora nel cuore gli odori del mare e della casbah della sua Algeria, condivise. Una questione fra meridionali, insomma.

Già. Il Sud. E la Puglia. Si può amare e persino tentare di comprendere CB anche se non si ha la più pallida idea di che cosa sia il Sud. Se si possiede un legame profondo si arriverà più vicini al cuore del tema. C’è Puglia, tanta Puglia, nelle invettive del Giovanni della Salomé. C’è Puglia, un mare di Puglia, in Sade- decadenza dei complessi bandistici nel Salentino-, spericolata messinscena di Aberrazioni di un barone e del suo servo, dove accanto a CB brilla un altro paesano oggi, ahinoi, felicemente assente, Cosimo Cinieri. C’è Puglia e c’è un universo intero in quel testo meraviglioso che non divenne mai film, A boccaperta, storia di San Giuseppe da Copertino, l’inconsapevole toccato dalla grazia divina, e per ciò solo puro, e sublime. Mentre qui da noi si consumavano acide stroncature e diffuso cicaleccio di invidie, doveva arrivare il raffinatissimo filosofo Gilles Deleuze a spiegarci che il Sud di CB è minoranza, vissuta «in rapporto alle gente delle Puglie». Le Puglie che gli donano «una linea di variazione, aria, terra, sole, colori luci e suoni che egli stesso farà variare diversamente, su altre linee, per esempio Nostra Signora dei Turchi, da questo momento più complice con le Puglie che se ne facesse il poeta rappresentativo». Quel film, Nostra Signora dei Turchi, contestatissimo eppure premiato alla Mostra del Cinema, nato dall’omonimo romanzo che CB preferiva alla pellicola, voleva essere una sorta di manifesto anti-Sessantotto.

CB evocò D’Annunzio, polemizzò con PPP, grande icona del suo tempo. CB non avrebbe mai potuto essere «poeta rappresentativo» di una qualche istanza sociale: aveva fatto prendere a uno dei suoi personaggi «una vacanza tutto intorno alla questione meridionale». CB contro la Storia, d’accordo. Poi toccò a lui il 2 agosto dell’81, nel primo anniversario della strage di Bologna, con la città impegnata nella più grande manifestazione contro il terrorismo, far rivivere, dall’alto delle Torri, il folle volo dell’Ulisse dantesco. Un nobile momento di cultura popolare diffusa, antifascismo, urlo delle ragioni della vita contro quelle, oscene, della morte. Significava farla, la Storia. E quello era un Dante che sapeva di passione e di utopia, sanguigno, divisivo, si direbbe oggi con parola alla moda, così diverso dal santino rassicurante di tante melense letture dantesche a seguire. Era il Dante di CB! Unico, come, ad esempio, il suo indimenticabile Pinocchio, riottoso, indomabile, selvaggio. Che aggiungere? CB amava il calcio come poesia del gesto, e dunque la Roma, emblema dei belli e perdenti sotto ogni cielo. La cucina. Il melodramma. Ma basta così. Un eccesso di lodi potrebbe scatenare reazioni incontrollate nel regno delle felici assenze. Appena un’ultima frase, così profondamente sua: il talento fa quello che deve, il genio fa quello che può.

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