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Julia Ducournau: «La mia Puglia da Palma d’oro»

 
Stefania Miccolis

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Stefania Miccolis

Julia Ducournau: «La mia Puglia da Palma d’oro»

La regista francese in corsa per l'Oscar con «Titane» ha nel cuore le sue estati a Corato

Sabato 26 Febbraio 2022, 15:01

CORATO - Finalmente il cinema diventa un’arte, la settima, è il 1921, e solo gli appassionati sanno che a scrivere il Manifesto e a rivendicare tale qualifica diversi anni prima è stato un pugliese di Gioia del Colle, Ricciotto Canudo, trasferitosi ben presto a Parigi. Questo sottile filo che lega la Puglia alla Francia pare quasi indissolubile. Da Corato (il mio paese d’origine), per esempio, nel dopoguerra tantissime persone si stabilirono per lavoro a Grenoble fondando una vera e propria colonia coratina (la leggenda narra che nel centro del paese si parli ancora il dialetto coratino, urlato dai vecchietti che giocano a carte e mangiano mozzarella). La nostra storia invece ci riporta ancora a Parigi, dove è nata la nuova stella del cinema francese, Julia Ducournau, vincitrice della Palma d’oro a Cannes 2021 con il suo Titane, in corsa per il Premio Oscar, che per grande casualità, ma noi la faremo sembrare un’onda del destino, è venuta in Puglia fra Trani e Corato, per diverse estati. Era un pezzo di ragazza, come disse un giorno un coratino, alta più di 1,80, cosa che mi stupiva, abituata a vedere tutte donne più o meno basse quando stavo da mia nonna, tranne lei e mia zia parigina che la ospitava a casa sua.

In adolescenza e prima gioventù ci si aggirava d’estate a Trani perché sul mare la vita è molto più ricreativa che nelle stradine desolate di Corato, la luce e i colori sono diversi e Julia ama Trani, Bisceglie e la scogliera, e ama ballare. La vedevo con mio cugino (un altro gigante di Parigi) così allegra e dirompente nella pista. Chissà se già pensava a tutto quel sangue, a tutta quella violenza che fa alzare oggi gli spettatori dal cinema. Pulsioni cannibalesche, scene morbose, volti mostruosi spiattellati sullo schermo senza filtri. Forse avrei dovuto accorgermene dal sorriso candido e dagli occhi enigmatici, l’ossimoro perfetto che si ritrova nei suoi film: violenza ma con la ricerca dell’amore - dice Julia - , perché «l’amore non è mai uno stato fermo». E invece mi soffermavo sui capelli al vento e sul vestito nero. È sempre stata elegante, indossava spesso abiti neri e tutt’ora li porta. L’ho rivista dopo anni alla prima del suo film Titane a Roma, cambiava solo il portamento da diva.
«Julia, ti ricordi di me?». Ha risposto con una punta di italiano su accento francese; si è sempre sforzata, spinta da una curiosità eclettica, di comprendere e di parlare l’italiano. Mentre la intervistavano per il suo film, in un fuori onda, guardandomi, ad alta voce ha affermato: «Adoro l’Italia, conosco specialmente la Puglia, il caldo, il sole, i luoghi, tutti quegli ulivi, le persone, e amo tantissimo il cibo». E mentre lo diceva sorrideva con lo sguardo pieno di ricordi. In un lampo mi sono passate in mente le giornate a Corato: si sforzava di comprendere quelle persone che parlavano in maniera cosi rapida. Ma credo la sua perspicacia sia riuscita a carpire un po’ di dialetto.

Si immaginava delle scene con i vari personaggi del posto che la circondavano; bastava un incrocio di sguardi sornioni fra lei, me e i miei cugini che pronti a raccogliere ed accogliere tutto ciò che proveniva dall’esterno, scrutavamo situazioni particolari e bizzarre. Sono convinta che all’occhio di un regista non sfugge nulla. Rendevamo divertente aspetti del quotidiano coratino puntando su usi e costumi a me conosciuti, a loro ignoti o poco comprensibili e perciò più gustosi. Forse era un modo per supplire alla mancanza dei cinema nelle lunghe estati, quando si rimaneva fra mare e campagna a gozzovigliare e a poltrire in una sequenza spazio temporale interminabile. I momenti conviviali pugliesi erano le pingui mangiate e una sinestesia di sapori e suoni tra tuffi nel mare, in acqua calda, l’arrostirsi al sole, e le passeggiate turistiche alla cattedrale di Trani o fra i vari castelli e gli aridi sassi. Ma se ritorno con la mente a Parigi, si parlava dei film che si proiettavano e dei registi vecchi e nuovi. Julia frequentava una vera scuola di cinema Era così attiva e pratica nel capire ed assorbire tutto: aveva già i suoi miti come Lynch, Cronenberg e Hitchcock, ne parlava con entusiasmo, li contemplava, descriveva per ogni film che vedeva le scene nei minimi particolari e vagheggiava poi con la fantasia. Rideva con compiacimento delle sue idee e dei suoi vagheggiamenti e ne ricordava perfettamente le colonne sonore; sembrava avesse un orecchio caleidoscopico per la musica. Anche allora, come oggi, cercava di scuotere e provocare: i suoi film sono in effetti un sobbalzo di anima e di corpo, ci si deve totalmente staccare dall’impianto classico.

Mi sono chiesta dopo aver visto Titane come Julia da ragazza si figurasse Corato, quando fra temperature altissime, buste di plastica svolazzanti sul corso deserto, si delineava una scena vecchio stampo e in bianco e nero stile Mezzogiorno di fuoco. Ma voi lo avete visto Titane? Il film, racconta la regista, proviene da un suo ripetuto incubo, mostruoso e violento, alla ricerca dell’umanità. Tutto comincia con il titanio inserito nella testa della protagonista: pensate che un bambino nasce mezzo umano e mezzo metallico, frutto dell’unione fra un essere umano e una macchina. Il metallo che è freddo, morto, pesante, dà origine alla vita, una collisione di morte e vita in una sola immagine. L’interesse più grande per Julia è di far provare allo spettatore le sensazioni corporali del suo protagonista: si è sempre in movimento ve lo assicuro.
E nelle estati pugliesi, in quelle strade vuote, avrà immaginato gli stessi zombie visti nelle strade di Parigi durante il lockdown? E al mare invece, in mezzo a tutta la folla, chi avrà individuato come presunto protagonista mostruoso di un suo eventuale film? Aspettiamo di vederlo.

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