La domanda è: si può vendere Dorgu a 40 milioni di euro, con il rischio di impoverire la squadra sotto l’aspetto tecnico? La risposta è semplice: sì, si può vendere. Anzi, si deve vendere perché una cifra del genere non può essere rispedita al mittente. Non da una società come il Lecce, costretta a a tenere sempre sotto occhio i bilanci perché in Serie A o fai i conti per bene, o il rischio di andare alla deriva è costante. I tifosi giallorossi se ne facciano una ragione, i quasi 40 milioni di euro significano mettere in sicurezza la salute economica di un club che ha dimostrato negli anni, soprattutto con Pantaleo Corvino a fare da timoniere, di saper coniugare risultati e bilanci. Dorgu è un gran bel giocatore, uno che «spacca» le partite con le sue accelerazioni, con la sua potenza, anche se non è quel tipo di calciatore decisivo come può essere un portiere paratutto o un attaccante che trasforma in gol qualsiasi cosa passi attraverso l’area di rigore, pallone o pietrolina che sia. Ed è un 2004, al quale non si può negare l’avventura in Premier. Con quale stato d’animo resterebbe a Lecce? Il ragazzo, come è ovvio che sia, è anche un po’ confuso e le amnesie fatte registrare contro l’Inter lo hanno confermato. Giusto che vada a confrontarsi nel campionato più bello del mondo. E più ricco.
L’altra domanda è: e adesso? Adesso bisogna affidarsi ad una ennesima «Corvinata», ad uno di quei colpi di magia ai quali il buon Pantaleo ci ha abituati. Da anni ormai. Inutile fare un elenco di perfetti sconosciuti trasformati in «Giocatori». Corvino è Corvino e basta. E siamo pronti a scommettere che anche questa volta tirerà fuori dal cilindro la mossa giusta. Il Lecce è un club fortemente radicato sul territorio, con una dirigenza salentina da generazioni, uomini che tengono al giallo e al rosso come fosse la loro famiglia. Basta rendersi conto della sofferenza stampata sul volto di Sticchi Damiani ogni qualvolta il Lecce scende in campo. Chiaro, dunque, che ci aspetta anche un parziale reinvestimento della cifra monstre intascata, per giocarsi le possibilità salvezza fino alla fine.
La domanda è: cosa fa il Bari sul mercato? Eppur si muove, si sta muovendo. Bonfanti è un primo tassello di buona volontà, arrivato certo dopo che due attaccanti sono andati al tappeto. Ma non basta. Il club biancorosso non ha lo stesso radicamento sul territorio che ha il Lecce e questo è un dato poco confortante. Ma ha il dovere lo stesso di muoversi «da Bari» sul mercato, di cercare e trovare con forza le pedine giuste per far compiere il salto di qualità alla squadra. Il bilancio sì, ci mancherebbe altro. Ma, per cortesia, non continuiamo a smontare i sogni di una tifoseria che in Italia, sì in Italia, è fra le più numerose. Non c’è solo il biancazzurro sul mercato, c’è anche il biancorosso.
L’ultima domanda è: ma perché Taranto, altra nobile, grande piazza calcistica della Puglia, è costretta a una tale umiliazione? Già, perché? Perché camminare sul filo che separa la dignità pallonara dall’umiliazione con così tanta arroganza, senza tenere conto dell’agonia alla quale è costretta una tifoseria da sempre passionale? Perché è successo tutto questo? Qualcuno si faccia la domanda e si dia la risposta. La dia, anzi, alla tifoseria. Perché sta diventando davvero una barzelletta questa storia di scioperi, penalizzazioni come se piovesse e partite tristi come il cielo d’inverno. Rispetto, grazie.