«L’ennesimo scandalo del mondo del calcio mi stupisce relativamente». Detto dal magistrato barese Ciro Angelillis, il pm che nel 2011 ha coordinato le indagini della Procura di Bari sul calcioscommesse, oggi procuratore aggiunto, fa un certo effetto. Ieri le combine finalizzate ad alterare i risultati della partite di calcio. Oggi, calciatori professionisti, da Fagioli a Tonali, accusati dalla Procura di Torino di avere scommesso su partite di calcio, peraltro su piattaforme illecite.
Procuratore Angelillis, dall’alto della sua esperienza, che idea si è fatto?
«Il problema del cosiddetto “calcioscommesse” non è di facile soluzione».
L’impressione è che cambiano le modalità, ma gli scandali restano una triste costante.
«Premetto che, inevitabilmente, la prospettiva del magistrato si intreccia con quella dello sportivo appassionato di calcio. Osservo come, a partire dagli anni Ottanta, praticamente ogni 10 anni viene alla ribalta il “calcio-scommesse”. Temo, purtroppo, che questo non significa che si tratti di un fenomeno “eclissi”, che appare e scompare, ma di un fenomeno che vive permanentemente sottotraccia e che emerge ciclicamente per casualità, quasi sempre per via di intercettazioni telefoniche disposte per reati diversi, in contesti diversi, che, però, incrociano conversazioni legate al mondo delle scommesse».
Con diverse ipotesi di reato.
«Le ipotesi di reato che possono essere ricondotte al fenomeno sono molto diverse ed è bene evitare di fare confusione. Si va dalla fattispecie più grave, la frode sportiva che consiste in una forma di corruzione, nel senso che il calciatore riceve denaro od utilità da altri al fine di alterare il risultato di una partita, alla forma meno grave che è quella di cui si parla in questi giorni, vale a dire la scommessa su piattaforme illegali».
Come si evolve questa spirale?
«È ovvio, però, che ognuna di queste fattispecie, nella realtà, innesca una sorta di progressione criminosa, nel senso che se ricevo danaro per alterare il risultato della squadra in cui gioco, inevitabilmente, poi, giocherò personalmente grosse cifre di danaro puntando sul risultato concordato con il corruttore (ovviamente la sconfitta della mia squadra) per lucrare il massimo dalla mia condotta e, viceversa, se scommetto sulla sconfitta della mia squadra sarò, quanto meno, tentato di giocare con quell’obiettivo. Vi è poi da considerare che il microcosmo del scommesse calamita spesso l’attenzione della criminalità organizzata».
In che modo la criminalità si insinua?
«La criminalità organizzata ha un problema permanente che è quello del riciclaggio, vale a dire dell’impiego della grande quantità di danaro proveniente dalle attività illecite, per lo più legate allo spaccio di sostanze stupefacenti. Questo danaro può essere “investito” con prestiti, ovviamente di natura usuraria, agli scommettitori che si indebitano o può essere facilmente “ripulito” con le scommesse su piattaforme illegali che spesso hanno sede in altra parte del mondo. Banalizzo con un esempio: due soggetti che intendono riciclare 5.000 euro punteranno entrambi quella somma (5.000 euro), uno sulla sconfitta e l’altro sulla vittoria di una determinata squadra. In questo modo sanno che inevitabilmente uno vincerà altri 5.000 euro e l’altro perderà i suoi 5.000 euro. In tal modo non avranno né vinto, né perso, ma avranno un titolo per dimostrare la provenienza lecita di 5.000 euro».
Perché il calcio è così malato?
«La logica del profitto che non conosce limiti, tanto meno quelli etici».
Può spiegare il fenomeno?
«Lo spiego con alcuni esempi: l’organizzazione dei mondiali di calcio ad un paese sospettato di finanziare Hamas, oppure gli accordi commerciali tra squadre di serie A e le piattaforme legali di scommesse, si tratta naturalmente di attività lecite che però alimentano i circuiti delle scommesse sul calcio».
L’autogol del pallone si chiama denaro?
«Se la logica del profitto prevale sull’etica, il risultato è questo. Con una aggravante».
Quale?
«Il sistema tende ad auto assolversi. Di fronte a uno scandalo si chiude a riccio, e cerca di minimizzare nel senso che i presunti responsabili di alcune condotte vengono presentati come vittime di una patologia, la ludopatia, che potrebbe anche esserci ma che certamente non è la chiave di lettura del fenomeno».
Non è un atteggiamento troppo giustizialista il suo?
«I casi ci sono sicuramente, ma la sensazione è che si cerchi di spostare il presunto autore di certe condotte dallo sgabello del responsabile a quello della vittima».
Invece chi sono le vittime?
«Gli appassionati di calcio, non bisogna dimenticarlo!».
E il bene giuridico tutelato?
«La passione tradita».
Può fare un esempio concreto?
«Il sospetto ammazza la passione: Partita Bari-Lanciano, aprile 2013. Vado con mio figlio allo stadio. Gli ospiti sono avanti di 3 reti a zero, i padroni di casa rimontano e la gara termina con un clamoroso 4-3. La memoria delle partite truccate emerse nelle mie indagini era ancora vivo. Al termine della partita anziché essere entusiasta per la gara scoppiettante cui avevamo assistito, lo vedo piuttosto perplesso. “Papà, c'è qualcosa di strano sotto”, mi disse. In realtà non c’era nulla, ma queste vicende alimentano la cultura del sospetto e questo impedisce di vivere la passione. Ricordo che per me fu un grande dispiacere».
Dopo le sue indagini con che occhi vede il calcio?
«Seguo soprattutto la Champions e la squadra per cui tifo che è il Foggia anche se in in serie C. Quando avevo 12 anni nella mia stanza avevo il poster del capitano Gianni Pirazzini. Lui non sapeva chi fossi, ma per me era importante. Ecco cos’è la passione. Ho seguito il Foggia in A con Zeman, in serie D e ancora oggi. È la mia squadra del cuore».
Come prendere in contropiede il calcioscommesse?
«In due modi, uno nell’immediato, l’altro nel medio-lungo termine»
Facciamo un passo alla volta.
«Nell’immediato i responsabili vanno puniti senza attenuanti costruite da chi ha interesse a non fare emergere la reale dimensione del problema. Bisogna punire i responsabili senza remore e sconti».
E nel medio-lungo periodo?
«Il ruolo delle società professionistiche secondo me è decisivo. Mi sono fatto questa idea durante le indagini che ho coordinato in passato. La questione è etica, di fondo c’è un problema educativo. Se i contesti famigliari e sociali di origine dei calciatori non sono stati in grado di fornire basi solide a giovani calciatori proiettati all’improvviso in un mondo più grande di loro, a mio avviso tocca alle società colmare questo deficit educativo. I giocatori non devono essere visti solo come mucche da mungere ma come persone».
Cosa spinge un calciatore ricco e famoso a rischiare di rovinare la propria carriera per delle scommesse?
«Nelle indagini baresi c’era un calciatore già abituato a scommettere che poi ha calamitato tutti gli altri giocatori con il guadagno facile, sulla base dell'equazione: presunzione di non essere scoperto uguale liceità della condotta».
Un episodio simbolo del calcio malato ?
«Combine Salernitana-Bari (3-2) del 2009. Biancorossi già promossi, campani a caccia di punti salvezza. L’accordo prevede la sconfitta del Bari in cambio di 7.000 euro a ciascuno dei biancorossi che parteciparono alla combine. Il dirigente della Salernitana si presenta a Bari con una valigetta piena di soldi. Vede la partita in tv insieme ad un altro personaggio, barese, coinvolto. Al triplice fischio, i soldi restano lì in attesa di essere riscossi. Testimoni raccontano che un calciatore del Bari, con ingaggi importanti, si precipitò da Salerno senza neanche avere fatto la doccia dopo la partita pur di incassare quanto prima la stecca di 7.000 euro».