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Franco De Simone
03 Novembre 2020
BRINDISI - Ha 42 anni, è canturino, Simone Giofrè è il direttore sportivo della New Basket Brindisi (Happy Casa), lo scorso anno premiato con il «Lega Basket Awards» di serie A quale miglior diesse. Ha iniziato a Cantù, come addetto stampa, poi il trasferimento nella vicina Varese dove incontra Frank Vitucci (stagione ‘12-‘13).
«Quella squadra disputò un campionato bellissimo - ricorda - sempre in testa alla classifica, fino alla fine. Chiudemmo con 46 punti e disputammo i playoff che perdemmo contro Siena (4-3)».
Poi il passaggio alla Virtus Roma e, da tre anni, a Brindisi, invitato da Vitucci. È la terza stagione che fila d’amore e d’accordo con Vitucci, tre anni importanti per il basket brindisino, con squadre sempre diverse, rifatte di sana pianta. E se le due precedenti hanno reagalato soddisfazioni, questa appena allestita sembra destinata a fare cose egregie. «Calma, sono state disputate appena sei partite - sostiene -. Troppo presto per parlare. Non bisogna mai perdere la cognizione delle cose. Questo è un nuovo viaggio. Non dobbiamo mai di vista qual è il nostro obiettivo che resta la permanenza. Lo dico perché il prossimo ostacolo è la Virtus Bologna, squadra di assoluto valore europeo».
Parla di permanenza, ma non è lecito pensare ad una nuova partecipazione alle Final Eight di febbraio?
«Potrebbe essere un obiettivo, ma da qui alla fine del girone d’andata ci sono ancora nove gare da disputare. Non bisogna dimenticare l’attuale difficile momento che stiamo vivendo. Il Covid-19 impressiona. Ha decimato la metà delle squadre della Lega A. Noi ne siamo fuori. Ma non siamo supereroi. Per questo invito tutti alla calma».
Come fa Giofrè a costruire ogni anno, con budget limitati, squadre importanti?
«Quando si dice il lavoro alla fine paga non è una frase fatta, ma la verità. Il mio lavoro consiste nell’individuare atleti dai quali avere poi, una volta individuati, il minimo rischio di errore. Occorre stringere il cerchio delle scelte e fra queste “pescare” l’atleta con rischi ridotti».
Anche quest’anno, quindi, giocatori con un basso tasso di rischio. Si spiega così il secondo posto?
«Nella fase di costruzione con la società e il coach ci siamo detti che era opportuno imprimere un’impronta diversa rispetto a quanto espresso dalle precedenti squadre. Quindi, misurarci con qualcosa di diverso».
Sei americani e sei italiani, tante storie, un gruppo. Questo l’intendimento?
Questo il desiderio mettere insieme dodici giocatori tutti con storie diverse, ma tutti a sposare la linea impartita dall’allenatore».
Com’è nato l’ingaggio di D’Angelo Harrison?
«Cercavamo un giocatore che rispecchiasse caratteristiche importanti a livello tecnico, di identità, di personalità, di leadership. Le abbiamo trovate vedendo e rivedendo i filmati di D’Angelo Harrison. Faccio però fatica a dire che con gli altri giocatori abbiamo seguito strade diverse. Ad esempio, senza nulla togliere a chiunque, vi dico di Riccardo Visconti, è un ragazzo, ma noi crediamo molto in lui, così come crediamo in tutti querlli che abbiamo voluto partecipi del nostro progetto».
E la scelta di Derek Willis?
«Per la prima volta lo avevo visto giocare a Portsmouth, quattro anni fa. MI dette una bella impressione. Ho continuato a seguirlo quando ha giocato nel Kentucky, e quindi in Germania, mai in live, però. Però, ogni volta le mie convinzioni continuavano. Ed ecco Willis. È un po’ anche il discorso che si può fare per Nick Perkins. È un diamante grezzo. Sappiamo bene che incontrerà delle difficoltà nel nostro campionato. Ma deve incontrarle, ha numeri per superarle. È solo questione di tempo».
Zanelli, Gaspardo, Thompson. Che dire?
«La decisione di Thompson di restare a Brindisi è stata importante per lui: è cresciuto tantissimo in personalità. Sa perfettamente assumersi le responsabilità del vero regista. Zanelli e Gaspardo sono la dimostrazione pratica di cosa significhi far parte di un gruppo, dove è debellata la parola egoismo, dove insiste invece la condivisa ciecamente unità di intenti. Se Gaspardo è entrato nell’ottica della nazionale è perché condivide lo spirito che anima il gruppo. Lo stesso dicasi per James Bell, un grande, serio professionista che s’è messo a disposizione del gruppo. Questo è ciò che anima tutto il roster dell’Happy Casa, seconda in classifica».
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