Caltanissetta, 11 nov. (Adnkronos) - (dall'inviata Elvira Terranova) - “Giovanni Peluso mi diceva che faceva un lavoro particolare, che era al Sismi. Dopo un mese che era a casa, una mattina la macchina non partiva, lui aprì il cofano e mi disse che c’erano due 'ordigni bianchi'. Mi disse che in quel momento stava facendo delle indagini particolari. Poi mi raccontò anche di collaborare con Vincenzo Parisi e che lavorava per il Sisde”. A dirlo, deponendo in aula al Tribunale di Caltanissetta, nel processo a carico di due ex ufficiali dei Carabinieri accusati di depistaggio, è Maria Anna Castro, ex compagna del poliziotto Giovanni Peluso, accusato dal collaboratore di giustizia Pietro Riggio di aver partecipato alla strage di Capaci. Alla sbarra ci sono due generali dei Carabinieri, due ex investigatori antimafia, Angiolo Pellegrini e Alberto Tersigni. Per la Procura, rappresentata in aula dal pm Pasquale Pacifico, i due ufficiali, oggi in pensione, avrebbero depistato le indagini per riscontrare le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pietro Riggio. I due, in particolare, avrebbero intralciato, secondo l'accusa, il lavoro dei pubblici ministeri, che stavano cercando riscontri alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia nisseno Pietro Riggio sulla strage di Capaci.
La testimone ha conosciuto Peluso in Procura a Roma nel 1990 e lui era un agente di polizia. “Abbiamo avuto una relazione – ha detto – iniziata nel settembre del 1990 fino al 2001”. E ha spiegato che il giorno della strage di Capaci, il 23maggio del 1992, Peluso "Non era tornato a casa". Alla sbarra anche lo stesso Giovanni Peluso, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa. Tersigni, 64 anni, difeso dall’avvocato Basilio Milio, e l’83enne Pellegrini, difeso dall'avvocata Oriana Limuti, hanno lavorato a lungo per la Dia. Pellegrini è stato anche uno storico collaboratore del giudice Giovanni Falcone.
Al centro della vicenda ci sono le dichiarazioni di Riggio, ex agente della Polizia penitenziaria, poi arrestato con l’accusa di essere legato ai clan mafiosi. Secondo i pm i due ex investigatori, che respingono le accuse, non avrebbero dato il giusto peso alle rivelazioni di Riggio, all’epoca loro confidente, rivelazioni che, sempre a dire degli inquirenti, avrebbero potuto portare alla cattura del latitante Bernardo Provenzano e a scoprire un progetto di attentato all’ex giudice del pool antimafia Leonardo Guarnotta. Peluso, invece, avrebbe agevolato Cosa nostra, tra l’altro favorendo la latitanza del boss corleonese. La testimone ha parlato nella sue deposizione diversi episodi della sua relazione con Peluso. Ad esempio, ha raccontato anche i giorni antecedenti e successivi alla strage di Capaci, periodo in cui la donna lavorava al Consiglio superiore della magistratura.
“Il venerdì prima del 23 maggio Peluso non tornò a casa e lo fece il lunedì dopo la strage e mi fece tantissime domande”, ha ribadito Maria Anna Castro nella sua deposizione in Tribunale. E ha ricordato che il sabato in cui fu ucciso il giudice Falcone la donna avrebbe ricevuto una telefonata al Csm "da un certo Gotti" che la "chiamava dall’America". E poi, una telefonata "strana" che le sarebbe arrivata il lunedì dopo la strage. “Erano telefonate che non passavano dal centralino del Csm”. Qualche giorno dopo lo stesso Peluso le disse “che era uno della Pizza Connection”.
Un altro episodio raccontato da Maria Anna Castro riguarda il periodo antecedente le stragi di Firenze e Milano, quando l'ex compagno Peluso "si fece accompagnare al Raccordo anulare di Roma perché doveva andare con alcuni colleghi a svolgere delle indagini lontano dalla Capitale". Secondo il racconto di Castro "in macchina c’era lo zio Tony, il principe", cioè Tony Mazzei che nel frattempo è morto.
La testimone ha poi raccontato anche dell’incontro che c’è stato a Resuttano tra Peluso, Riggio e Giovanni Aiello, l'uomo che era stato definito 'faccia da mostro' “hanno parlato nei pressi della macchina in cui c’ero io”. Ha poi ricordato che Peluso le ha detto che in carcere "era stata istituita una task force tra uomini detenuti che doveva essere impegnata nella cattura dell’allora latitante Binnu Provenzano", cioè "lo “zio” che Peluso vantava di conoscere". "Mi doveva aiutare a ottenere l'eredità di mia nonna", che era originaria di San Giuseppe Jato. La deposizione prosegue.
















