BARLETTA - Senza Rianimazione. Degli 8 posti-letto attivi nel reparto del «Mons. Dimiccoli» al momento dello spaventoso rogo che lunedì 12 settembre ha distrutto la piattaforma realizzata dalla Protezione civile per fronteggiare l’emergenza Covid, non ne resta alcuno.
Quattro posti-letto, per la verità, sono in fase di allestimento nel Pronto soccorso, ma non si sa ancora quando saranno disponibili. Basteranno due settimane? Saranno sufficienti tre oppure sei? Un anno? Non si sa.
Interpellata sul punto, la Direzione generale dell’Asl di Barletta, Andria, Trani, non risponde. Non si sa perché, ma la coltre di silenzio è totale.
Che un reparto di Rianimazione debba essere attivo in un ospedale di primo livello quale è il «Monsignor Raffaele Dimiccoli», lo prevede la normativa in vigore. In sintesi. Sono presìdi ospedalieri di primo livelli quelle strutture che hanno hanno un bacino di utenza tra 150.000 e 300.000 abitanti.
Tali ospedali, sedi di Dipartimento di Emergenza Urgenza e Accettazione (DEA), ospitano le specialità di Medicina Interna, Chirurgia Generale, Anestesia e Rianimazione, Ortopedia e Traumatologia, Ostetricia e Ginecologia, Pediatria, Cardiologia con Unità di Terapia intensiva Cardiologica, Neurologia, Psichiatria, Oculistica, Otorinolaringoiatria, Urologia, con servizio medico di guardia attiva o di reperibilità oppure in rete per le patologie che la prevedono.
Ancora. È richiesta anche la presenza o la disponibilità in rete 24 ore su 24 dei servizi di Radiologia con Tac ed Ecografia, Laboratorio, Servizio Immunotrasfusionale.
Cosa comporta non avere a disposizione posti-letto di Rianimazione in un ospedale di primo livello come quello in contrada Tittadegna? Che la sua funzione non è più catalogabile come «di primo livello», avvicinandosi più verosimilmente a quella di un ospedale di base. E così, ad esempio, sono stati bloccati i cosiddetti «interventi di chirurgia maggiore», che prevedono di per sè una elevata probabilità di dover far ricorso alla cosiddetta Terapia intensiva post operatoria (Tipo, l’acronimo). Se poi dovesse essere comunque necessario far ricorso alla terapia intensiva, ci sono pur sempre i reparti di Rianimazione di Andria e Bisceglie. Ma bastano per un bacino di utenza come quello della provincia di Barletta, Andria, Trani?
Diceva il governatore Michele Emiliano il 12 settembre del 2020, qualche giorno prima della rielezione alla guida della Regione, proprio inaugurando la Rianimazione a Barletta: «Tutta la sanità nell’area della Bat ha vissuto in questi anni una profonda rivoluzione. Pensate che all’ospedale di Barletta, i lavori nella unità operativa di Anestesia e Rianimazione sono iniziati il 13 luglio e ora il reparto è pronto per la riapertura, con 7 posti letto a cui si aggiunge 1 in isolamento. La Asl Bat ha investito più di 30 milioni di euro in nuove rianimazioni e in nuovi reparti, abbiamo avviato la terapia intensiva di Barletta, stiamo costruendo il nuovo ospedale ad Andria, abbiamo rilanciato gli ospedali che in passato erano stati chiusi o declassificati. E questo processo di rilancio è per noi il viatico più importante verso la vittoria alla prossima competizione elettorale perché siamo certi che i cittadini pugliesi ricordano perfettamente come erano le cose venti anni fa, con gli ospedali chiusi e un buco da 800 milioni di euro. Insomma la cosa più importante che avevamo da fare nella Bat l’abbiamo realizzata, l’abbiamo fatta bene e credo che su questa base potremmo continuare ancora per altri 5 anni».
Va bene, ma nel frattempo, da Emiliano in giù (dall’assessore regionale alla Sanità, Rocco Palese, alla direttrice generale dell’Asl Bat, Tiziana Dimatteo), c’è qualcuno in grado di chiarire cosa sta succedendo all’ospedale di Barletta?