Bari - Le sue parole hanno consentito di arrivare alla condanna degli ex pm Antonio Savasta e Luigi Scimè. Ma la Procura di Lecce considera Flavio D’Introno un complice, non una vittima, della cricca di giudici che a Trani truccava le indagini in cambio di soldi. E dunque lo manda a processo: il 9 ottobre l’imprenditore di Corato dovrà comparire davanti al gip Sergio Mario Tosi per rispondere, come tutti gli altri, di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari, calunnia, falsa testimonianza ed estorsione.
Quello a D’Introno è il terzo processo per la giustizia truccata di Trani, in attesa che si chiuda anche l’ultimo troncone dell’inchiesta di Lecce (quello sulle sentenze tributarie). Il pm Roberta Licci ha depositato due faldoni di nuove carte, che - come già accaduto nel processo principale (nei confronti dell’ex gip Michele Nardi e dell’ex ispettore Vincenzo Di Chiaro) - servono a descrivere il contesto. Le carte, in parte trasmesse dalla Procura di Trani, offrono ulteriori esempi di contiguità tra giudici e imprenditori. Vedi quelle sulla vicenda dell’hotel Salsello di Bisceglie (per la quale è già in corso un processo), ma anche le dichiarazioni - più recenti e finora ignote - rese da due imprenditori di Treviso già coinvolti in una indagine in Veneto («La truffa del pinot grigio»), che in Puglia sarebbero stati invece vittime di una «stangata»: il presunto autore della truffa avrebbe consigliato loro di non denunciare in quanto presunto «amico» di Antonio Savasta (che ha preso 10 anni).
Se non riuscirà a proporre un patteggiamento, D’Introno (avvocato Vera Guelfi) potrebbe optare per il rito abbreviato, così da ottenere lo sconto di pena di un terzo. L’idea è di puntare sulla collaborazione con la giustizia: l’imprenditore di Corato, che nel processo principale è stato ammesso quale parte offesa, ha ammesso di aver pagato i giudici anche se non sempre le sue parole hanno trovato riscontro puntuale a partire dalla vicenda del Rolex Daytona di oro che ha detto di aver regalato a Nardi e su cui è stato smentito da una testimone. L’imprenditore aveva anche detto che gli orologi in realtà erano due, quasi uguali: i carabinieri di Barletta stanno effettuando altri approfondimenti per provare a far quadrare i pezzi del mosaico.
Sulla carta D’Introno rischia una pena pesante, ma la difesa punta a far cadere alcune accuse secondarie e a circoscrivere la responsabilità corruttiva. Resta, tuttavia, un corto circuito che è forse un unicum nel panorama giudiziario italiano: oggi D’Introno è in carcere a Trani per scontare una pena definitiva a cinque anni per usura, ma il pm che ha formulato le richieste di condanna contro di lui in primo grado, cioè Luigi Scimè, è stato condannato in abbreviato a quattro anni per corruzione proprio per aver accettato 75mila euro versati dall’imprenditore. Scimè (che a questo punto verrà sospeso dalle funzioni giudiziarie) ha già annunciato appello contro la sentenza, ma la vicenda è comunque molto scivolosa.