Un’ampia palazzina di architettura «sovietica», immersa nel verde, affacciata sulla statale jonica. L’Impianto di Trattamento e Rifabbricazione Elementi di Combustibile (Itrec) nasce qui, in Basilicata, tra il 1965 e il 1970 per volere di Emilio Colombo, ministro del Tesoro all’epoca. Si dice che per scegliere il sito, il potentissimo politico lucano avesse puntato a casaccio un dito sulla cartina geografica della regione e che per caso, sotto il dito, si fosse trovato il piccolo paesino di Rotondella (noto soltanto fino a quell’istante per la figura magica della Monanchella) Ma queste sono leggende urbane. Come d’altronde sinistramente leggendario è tutto ciò che riguarda l’Itrec, nelle cui viscere riposano dal 1971 84 elementi di combustibile irraggiato uranio-torio provenienti dal reattore sperimentale Elk River del Minnesota. Scorie radioattive, sì, di quello parliamo.
L’impianto è nelle mani della Sogin (la Società Gestione Impianti Nucleari dello Stato italiano) dal 2003. Proprio la Sogin in queste ore aggiudica a un raggruppamento formato da Ansaldo New Clear e Mansud la gara per realizzare - con una spesa di 43 milioni di euro - «l’edificio di processo dell’impianto di cementificazione prodotto finito» nel sito di Rotondella. Un investimento imponente, solo un piccolo pezzo del più ampio processo di decontaminazione, del grande piano di decommissioning dell’eredità nucleare italiana, stimato in 7 miliardi di euro. Il «decommissioning», cioè la «disattivazione» o - come la chiama la stessa Sogin - lo «smantellamento». Ma di questo parleremo più avanti.
A cosa serviranno i 43 milioni di euro da investire a Rotondella? «Si tratta di uno dei principali progetti strategici per l’avanzamento complessivo delle attività di decommissioning nucleare in Italia». Sogin, nel sottolineare che il valore della gara comprende anche un «premio di accelerazione» di 1,5 milioni di euro e che l’iter si è concluso «in meno di sei mesi», ha spiegato che «il progetto Icpf prevede la realizzazione di due strutture. L’edificio di processo, dove saranno svolte in maniera remotizzata le attività di cementazione dei circa tre metri cubi di soluzione liquida radioattiva denominata “Prodotto Finito”, e l’annesso deposito temporaneo, già realizzato e dove oggi si stanno installando gli impianti. All’interno di quest’ultimo verranno sistemati in sicurezza i manufatti contenenti i rifiuti cementati e una sua area dedicata ospiterà i due speciali contenitori, denominati cask, con i 64 elementi di combustibile attualmente stoccati nella piscina dell’impianto, in attesa del loro conferimento nel deposito nazionale». Il nuovo impianto, «alzerà i livelli di sicurezza e consentirà un incremento significativo delle attività di dismissione del sito lucano».
La disattivazione del sito lucano rientra nel più complesso piano italiano finalizzato alla caratterizzazione radiologica degli impianti, alla decontaminazione delle strutture, alla demolizione degli edifici e, infine, alla caratterizzazione radiologica dei siti. Ed ancora alla gestione dei rifiuti radioattivi, che sono stoccati in depositi temporanei, e di tutti gli altri materiali prodotti dallo smantellamento, come ferro, rame o calcestruzzo, che vengono allontanati dal sito per essere recuperati e riciclati. Quando tutte le strutture dell’impianto saranno demolite e tutti i rifiuti radioattivi saranno condizionati e stoccati nei depositi temporanei, si procederà al trasferimento definitivo nel Deposito Nazionale. E qui si apre un’altra grande, controversa partita. La Cnapi, la Carta dei luoghi in cui potrà essere costruito lo stoccaggio nazionale dei rifiuti radioattivi, è stata svelata soltanto nel 2021, Sette le regioni in cui sono state individuate le aree potenzialmente idonee alla costruzione del Deposito nucleare nazionale: Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia, Basilicata, Sardegna e Sicilia. Tra Basilicata e Puglia sono 17, in particolare, le zone individuate tra le province di Potenza, Matera, Bari e Taranto. In particolare: Genzano, Irsina, Acerenza, Oppido Lucano, Gravina, Altamura, Matera, Laterza, Bernalda, Montalbano, Montescaglioso.
La notizia, nel 2021, ha sollevato la prevedibile ondata di polemiche tra territori e comunità, ambientalisti, associazioni, amministratori, società civile poiché nessuno si è detto disponibile a tenersi «a casa» le scorie nucleari. Al momento. non è ben chiaro dove potrà sorgere il Deposito Nazionale. Certo, l’investimento che Sogin si prepara a gestire a Rotondella fa capire che il decomissioning sta comunque andando avanti.