In una lettera alla «Gazzetta», giunta qualche giorno fa in redazione, il signor Matteo Baldi ha espresso critiche all’indirizzo dello scrittore Gaetano Cappelli accusandolo di travisare «totalmente il pensiero ed il messaggio di Carlo Levi». Secondo il signor Baldi, Cappelli ha cercato «un terreno di confronto, impari quantomeno perché postumo» con l’autore di «Cristo si è fermato a Eboli». Sotto accusa la frase di Cappelli secondo cui Levi «ce l’ha coi terroni». Altro elemento polemico, nella missiva inviata al giornale da Matteo Baldi, è il confronto dialettico che ha opposto Gaetano Cappelli alla sociologa Graziella Salvatore. «Graziella Salvatore ha smontato la visione del Cappelli - scrive Baldi sempre a proposito della disputa su Carlo Levi -. Quello che invece trovo intollerabile - ha aggiunto il lettore - e che m’induce a scrivere questa lettera, è che di fronte a un pensiero critico, logico, storico, motivato, proveniente da una donna che denota conoscenza del pensiero di Levi, la vana replica (!) del Cappelli sul vostro giornale sconfina nella trivialità, in una teocrazia della volgarità, che ambisce ad un potere fondato solo sull’atavismo del maschio, cioè proprio quel potere che Levi ha smascherato, che guarda con protervia, arroganza all’anelito delle donne ad essere soggetti vitali, intelligenti, capaci di un pensiero critico, senza piegarsi alla condiscendenza indifferente che è il terreno di cultura di questi arroganti portatori di vuoto». Nel congedarsi, Matteo Baldi chiede una «riflessione sulla responsabilità degli intellettuali nel promuovere valori di evoluzione e rispetto della donna». Gaetano Cappelli ha replicato alla missiva del lettore.
Esimio signor Baldi, da quello che capisco nel garbuglio guarnito di latinorum della sua epistola - dove mi dà del mediocre ma citando la massima di Orazio che della mediocrità fa l’elogio! -, lei mi imputa di aver del tutto travisato, nel mio articolo «Sfatare il mito di Carlo Levi», il pensiero dal suddetto espresso nel suo Cristo, arrivando perfino a mettere in dubbio che quel libro, io, l’abbia letto. Ora, se così fosse sa dirmi, di grazia, dove avrei preso tutti i virgolettati – e sono davvero tanti! – con cui ho puntellato la mia tesi, e cioè che a Levi noi terroni lucani non siamo mai poi tanto piaciuti?
Ecco, se lei avesse invece analizzato punto per punto le citazioni riportate, avrebbe evitato di far la solita patetica figura della prefica dolente, così già ben interpretata da Graziella Salvatore che alla mia profanazione del verbo leviano ha dedicato varie articolesse in cui, per difendere il profeta torinese, si ostina per esempio a sostenere, contro ogni evidenza storica, che non fu Matera, il 21 settembre del ’43, la prima città a ribellarsi ai nazisti – cosa di cui ogni lucano, penso oltretutto, dovrebbe andar fiero – ma Napoli, dove le più celebri Quattro Giornate iniziarono però sei giorni dopo. Un piccolo particolare certo, ma che pialla dalle fondamenta la balzana idea di Levi di una Basilicata, terra in cui non sarebbe mai arrivata la Storia, né il Tempo, «né l’anima individuale»; e quest’ultimo particolare è di una tale gravità - se a un uomo si nega l’anima individuale, cosa gli resta di umano? - che sì avrebbe dovuto far sobbalzare il signor Baldi. Invece a fargli perdere le staffe è stata la mia replica alla stolida filo-partenopea, replica che «sconfina nella trivialità in una teocrazia della volgarità, che ambisce ad un potere fondato solo sull’atavismo del maschio [sob], cioè proprio quel potere che Levi ha smascherato, che guarda con protervia, arroganza all’anelito delle donne ad essere soggetti vitali, intelligenti, capaci di un pensiero critico».
Be’, a dire il vero di questo tipo di donne, nel Cristo, non se ne vedono per niente. Quelle che Levi incontra sembrano invece tutte, indistintamente, delle assatanate con un’unica assillante idea per la testa: farselo e/o sposarselo. Ed eccole infatti, «nere come sacchi di carbone», sempre pronte a servirgli di soppiatto uno dei loro «filtri d’amore» – caffè, vino o qualsiasi altra bevanda «aromatizzata» al sangue catameniale. Ma lui, il bel torinese, niente, eh! Impassibile anche davanti alla «barbara e solenne bellezza» (il corsivo è mio) della Santarcangiolese, preferisce, infatti, spennellarsi i suoi quadri.
E nonostante questo, sarei io a pormi con «protervia» e «arroganza» nei confronti della donna con lo strumento dell’allusione sessuale, come «il riferimento al missionario comboniano deputato al battesimo mancato» della sociologa émigré Salvatore; quando io, oh baldo Baldi, visto che la sua eroina e mia compatriota potentina si dichiara «Nata nella terra dove Cristo non è mai arrivato», chiedendomi se avesse trovato, in questa nostra terra selvaggia, almeno un missionario comboniano che l’abbia battezzata, non ho che lavorato sul paradosso a partire proprio da Levi: se infatti Cristo s’è fermato a Eboli chi ha mai provveduto a battezzare lei e noi tutti, poveri potentini scristianuti?
Del resto, se omnia munda mundis - «tutto è puro per i puri» - per lei, signor Baldi, esperto in latinorum, ben vale la formula inversa: omnia immunda immundis!