Aveva convinto la cuginetta di soli dieci anni che qualcuno, dalla Germania, gli aveva impiantato due microchip nel cervello e in un piede che potevano farlo morire o impazzire e, per evitarlo e salvarlo, lei doveva praticare atti sessuali. Un 30enne barese, all’epoca dei fatti contestati poco più che maggiorenne, è stato condannato a 4 anni di reclusione (pena ridotta dalla Corte di Appello rispetto ai 7 anni del primo grado) per violenza sessuale aggravata, violenza privata e detenzione di materiale pedopornografico.
La vicenda risale agli anni 2013-2014, anche se i primi episodi ricostruiti dalla bambina e dagli inquirenti si riferimento al 2011. In particolare, l’imputato con «reiterate minacce di morte e di gravi ritorsioni fisiche» nei confronti della ragazzina e dei suoi familiari, l’avrebbe costretta a subire atti sessuali per anni. Già a partire dal 2011, quando la vittima aveva 10 anni, avrebbe iniziato a inviarle bigliettini a firma di tale Renè e poi, tramite social network come Facebook e Whatsapp, si sarebbe spacciato per Renè e successivamente per una donna, tale Tatiana (tutti profili falsi), che stando ai messaggi del ragazzo era la madre di Renè, per convincere la cuginetta «dell’esistenza di una presunta organizzazione tedesca dedita alla “dominazione maschile” - si legge nel capo d’imputazione relativo alla violenza sessuale - e della necessità, in qualità di padrona “prescelta”, di dover dominare il proprio cugino per liberarlo da un microchip che gli era stato impiantato nel cervello e successivamente da un “neurone” che gli era stato impiantato nel piede che rischiavano di ucciderlo o di farlo impazzire»...