Raramente i campanelli d’allarme suonano a vuoto. E nel caso del Bari le avvisaglie avevano già palesato sinistri presagi. È gelata la doccia che i biancorossi hanno subito a Modena. Un risveglio amaro dopo il mercato chiuso in crescendo e una timida fiducia che cominciava a pervadere la piazza, come dimostra il dato abbonamenti in leggera crescita.
Eppure, il 3-0 incassato dalla truppa di Fabio Caserta in Emilia non è casuale, bensì la conseguenza di lacune già trapelate e divenute ancor più evidenti al «Braglia», al cospetto di un avversario già rodato nella categoria (rispetto alle neoretrocesse Venezia e Monza), nonché costruito con logica e raziocinio. Una squadra già centrata sulla sua missione rispetto ai Galletti che, pur potendo contare su indubbie qualità tecniche dei singoli, proprio non hanno ancora raggiunto un assetto funzionale. Davvero potevano bastare gli sprazzi di bel gioco intravisti al San Nicola con i brianzoli per pensare di aver definitivamente imboccato la strada giusta? La realtà è che qualche bagliore non può cancellare la prima mezzora in Veneto, con ben tre reti annullate alla formazione di Stroppa e nemmeno l’avvio dell’incontro con i lombardi, intraprendenti e pericolosi nelle battute iniziali, salvo poi cedere il passo ai Galletti che avrebbero anche meritato la posta piena. A Modena i difetti già intravisti sono risultati vere lacune. Ma gli scricchiolii precedenti non erano campati in aria.
I numeri, d’altra parte, non mentono mai. Il bari ha incassato ben sei reti in tre gare, alla media di due a partita. Davvero troppi. Soltanto la Sampdoria (fanalino di coda e ancora a secco) ed il Pescara hanno subito un gol in più. Vicari e compagni, peraltro, si sono fatti sorprendere in tutti i modi: azioni manovrate chiuse con troppa facilità e conclusioni dalla distanza (come è avvenuto in Veneto), percussioni centrali senza alcuna opposizione (con il Monza), penalty causati con ingenuità imperdonabili (vedi Dorval sabato scorso) e calci da fermo (Pedro Mendes sui titoli di coda a Modena). La retroguardia, insomma, non appare mai davvero solida e registrata. Occorre intervenire immediatamente perché la solidità rappresenta tradizionalmente il primo requisito per arrivare lontano.
Altro pessimo segnale. Tre indizi costituiscono una prova più che eclatante. Il Bari parte puntualmente ad handicap, senza riuscire a scavallare nemmeno un tempo indenne. Al primo turno lo svantaggio è giunto dopo appena nove minuti, con il Monza Mota Carvalho ha colpito dopo meno di 120 secondi, infine al «Braglia» il primo rigore trasformato da Gliozzi è caduto al 32’. Con tale andazzo, costruire un successo nel torneo celebre per il suo equilibrio diventa un’impresa, persino con tanto tempo a disposizione. Imperdonabile l’atteggiamento arrendevole dell’ultimo incontro sullo 0-2, ma è pur vero che risalire puntualmente la china è impossibile. Possibile che in alcune circostanze l’approccio sia stato caratterizzato da un’attenzione ed un furore insufficienti. Ma al contempo è grave anche la poca precisione sotto rete. D’altra parte, sono appena due le marcature in tre giornate. Soltanto Padova, Juve Stabia e Spezia (un bersaglio centrato) hanno gioito meno.
L’auspicio della società era un torneo d’alto profilo per dimenticare due anni ricchi di delusioni. Il tempo non manca, ma lo score di Caserta al momento è identico a quello di Moreno Longo: un punto in 270’, con lo stesso numero di gol al passivo e uno in meno all’attivo. La rivoluzione sul mercato porta con se inevitabili scompensi di amalgama, affiatamento, meccanismi da oliare. Ma soprattutto di condizione fisica. Un aspetto inevitabile quando un complesso si ricostruisce strada facendo. Il ritmo dei biancorossi attualmente è inferiore a quello delle avversarie. Troppi gli elementi lontani dai rispettivi standard: da Castrovilli (che sta lavorando sodo, ma va gestito dati i guai degli ultimi due anni) a Partipilo, da Antonucci a Maggiore, , senza dimenticare chi non è stato ancora utilizzato come Darboe, Gytkjaer, Cerri. La sosta, peraltro, non sembra aver prodotto evidenti benefici. E il campionato non aspetta.
Inevitabile che la discussione finisca anche sul piano tattico. Il 4-3-3 di Caserta è davvero il modulo giusto? Una cosa è certa: tornare indietro non è facile. La squadra è stata costruita su un concetto preciso. Ipotizzare una difesa a tre sembra azzardato per la carenza di centrali (sono appena quattro ai quali potrebbe aggiungersi Pucino, reinventato «braccetto» la scorsa stagione), così come pensare ad un assetto con due punte si scontrerebbe con il numero esiguo di attaccanti puri (soltanto Moncini, Gytkjaer e Cerri) e con l’abbondanza di esterni che faticherebbero a trovare collocazione. Opportuno, invece, riconsiderare gli uomini schierati. Permettersi due terzini poco avvezzi al contenimento come Dickman e Dorval, due centrocampisti certo non votati all’interdizione come Verreth e Pagano oltre il tridente offensivo oggi sembra un lusso insostenibile. La qualità deve essere supportata necessariamente da corsa, muscoli e intensità. La sagoma del Palermo già si avvicina minacciosa. Urgono correttivi per non cadere anche al «Barbera».