La sentenza della Corte europea del 2009 ha riconosciuto tutti i possibili danni derivati dalla vicenda di Punta Perotti. E dunque la Cassazione ribadisce che ai costruttori non spetta più nulla, liberando così il Comune di Bari (ma anche la Regione e il ministero della Cultura) da ogni ulteriore onere. Le decisioni gemelle con cui ieri la Terza sezione ha ribaltato il verdetto della Corte d’appello di Bari sulle richieste di Mabar e Sud Fondi chiude, a quasi vent’anni dall’abbattimento, il caso dell’ecomostro sul lungomare.
Nel 2022 i giudici di appello avevano stabilito che alla società della famiglia Andidero spettassero altri 1,3 milioni (2,5 con rivalutazione e interessi) per tutti i danni non coperti dalla pronuncia della Cedu, che aveva riconosciuto 49 milioni alle tre imprese (c’erano anche Sud Fondi dei Matarrese e Iema). In senso analogo a settembre 2023 i giudici si erano pronunciati per la Sud Fondi, cui erano stati assegnati 8,7 milioni (11 con gli interessi). Le due imprese, con un percorso analogo ma argomentazioni diverse avevano sostenuto che dalla pronuncia di Strasburgo mancassero alcune voci, ad esempio i costi di progettazione, le tasse e la mancata rivalutazione del valore dei suoli (confiscati e poi restituiti) su cui erano stati costruiti i palazzi. Il Comune era insomma esposto per circa 14 milioni che aveva proceduto ad accantonare in bilancio.
La Cassazione, accogliendo i ricorsi di Regione (con il professor Ugo Patroni Griffi), Comune di Bari (Giorgio Costantino, Nino Matassa, Eugenio Mangone) e ministero, ha invece detto l’esatto contrario con motivazioni polemica sia nei confronti dei costruttori (accusati - nemmeno tanto velatamente - di aver «nascosto» alcuni documenti) sia dei consulenti tecnici del collegio di appello. Non è infatti usuale che in una sentenza di legittimità venga pubblicata una tabella di confronto per dimostrare che le voci di danno liquidate dalla Cedu erano già coperte.
Se insomma qualcosa voce manca, è perché la Cedu ha ritenuto che non fosse da pagare. « Il giudice nazionale», è detto in sentenza - «non poteva accogliere la domanda di risarcimento proposta dinanzi a lui dalla Mabar, perché così facendo ha inammissibilmente riesaminato e ribaltato le statuizioni di rigetto contenute nella sentenza della Corte Edu». Il ragionamento suona così: la decisione di Strasburgo «non ha lasciato “danni differenziali” di cui la Mabar possa chiedere il ristoro al giudice nazionale», ma anche se non fosse così ormai non c’è più niente da fare, perché ai Tribunali italiani non è consentito riaprire una vicenda già decisa a un piano più alto. «Deve concludersi che quella sentenza abbia voluto liquidare tutti i danni ritenuti provati, e rigettare la domanda di risarcimento dei danni ritenuti non provati o, se provati, non causalmente dipendenti dalla confisca. Se poi tale decisione fu equa od iniqua, esaustiva od inesaustiva, coerente od incoerente con le prove offerte, non è questione che il giudice nazionale possa sindacare senza violare il giudicato sovranazionale e senza minare lo stesso rapporto tra le due Corti».
Ad accomunare le situazioni c’è il fatto che sia Mabar che Sud Fondi sono nel frattempo finite in concordato ma anche al centro di indagini della Procura di Bari. E dunque i soldi dei risarcimenti sono stati inseriti nelle proposte di risanamento delle rispettive società. Entrambe avevano peraltro proposto ricorsi incidentali, ritenendo che le somme riconosciute in Appello fossero esigue rispetto al reale danno. Ma anche qui, hanno trovato la strada chiusa. E anzi sul punto la Cassazione ha detto, indirettamente, qualcosa in più: « Se il Comune di Bari - in ipotesi - avesse ab initio rilevato l’inedificabilità dell’area di Punta Perotti e non avesse dato seguito al piano di lottizzazione, la situazione patrimoniale della Mabar sarebbe stata la seguente: non avrebbe avviato i lavori, ma avrebbe conservato la proprietà dei terreni già acquistati, il cui valore sarebbe stato quello di terreni non edificabili». La partita, dunque, è definitivamente chiusa.