Quasi duecento denunce in più in un anno a carico di minori. «Una nuova emergenza» secondo la presidente del Tribunale per i Minorenni di Bari, Valeria Montaruli, che a poco più di un anno dal suo insediamento, scatta una fotografia della situazione del distretto da un osservatorio privilegiato, quale è quello della giustizia minorile. I numeri parlano, tra il 2023 e il 2024, di una riduzione delle prese in carico ma un aumento delle nuove segnalazioni (da 583 a 768). Diminuiscono i minori denunciati per rapine (da 443 a 394), violenza sessuale (da 105 a 85) e stalking (da 70 a 65), ma aumentano i casi di lesioni commesse da ragazzini (da 556 a 606), le estorsioni (da 113 a 122), i maltrattamenti in famiglia (da 61 a 71) e gli episodi di pedopornografia (da 58 a 64).
Presidente Montaruli, quale è il quadro che viene fuori dai dati in vostro possesso?
«Quello dei minori è un universo vasto e variegato, perché la nostra competenza riguarda i settori civile, penale e amministrativo, relativi i primi due alla adeguatezza delle figure genitoriali e dei nuclei familiari, ai reati commessi dai minori, con particolare enfasi alla funzione rieducativa della pena. Il Tribunale per i Minorenni si occupa anche della esecuzione della pena, che riguarda anche i giovani adulti fino ai 25 anni che abbiano commesso reati quando erano minorenni. In questo ambito, i carichi sono raddoppiati e i flussi sono in preoccupante aumento. Per quanto riguarda la competenza nel settore amministrativo, rivisitato di recente dal testo su bullismo e cyberbullismo, ci occupiamo anche di minori che non sono ancora nel circuito penale ma che sono autori di condotte irregolari, e di casi, in preoccupante aumento, di ‘violenza invertita’, che riguardano minori violenti contro i genitori».
C’è qualche fenomeno che vi preoccupa in modo particolare?
«Quello dei minori a mano armata. La grande emergenza è il foggiano, per i servizi territoriali in sofferenza e poi per la presenza di organizzazioni criminose molto efferate. In tutto il distretto, comunque, è stata registrata la presenza di gruppi di minori che, sebbene privi di una struttura criminale definita, imperversano dediti ad attività violente e devianti con l’uso delle armi, strutturando comportamenti estremamente allarmanti. Non c’è un fenomeno strutturato di baby gang, ma si tratta di aggregazioni spontanee giovanili che possono essere autrici di reati di particolare allarme: reati contro il patrimonio, reati contro la persona, risse, reati sessuali, pedopornografia minorile. E purtroppo stanno imperversando anche i reati sul web e, comunque, l’uso improprio degli strumenti telematici. Poi l’altra faccia di questi fenomeni è il disagio nei rapporti, soprattutto con le famiglie».
Con quali conseguenze?
«A questo corrispondono fenomeni di isolamento sociale e disagio psichico, aumentati dopo il Covid e che non riguardano solo nuclei familiari disagiati, ma si stanno registrando in modo crescente anche in nuclei familiari “bene” dal punto di vista socio economico. Quanto alla città di Bari, come sappiamo c’è la presenza dei gruppi criminali storici che sempre più si avvalgono di minori per la commissione di gravi reati, anche con l’uso delle armi, nelle rispettive zone di appartenenza: dal Libertà al San Paolo a Carbonara, a Ceglie e Loseto, Santo Spirito, Enziteto e la città vecchia. Non è una novità che qui negli anni si sia strutturata una devianza minorile, però la novità è che questi fenomeni di devianza incominciano a interessare, non più solo i minori che gravitano attorno a queste famiglie storiche, ma provenienti da nuclei familiari cosiddetti “normo costituiti”. E quindi, sono in aumento reati di bullismo, risse percosse, lesioni, aggressioni anche a sfondo sessuale, atti vandalici. Sono in aumento, per esempio, i casi di danneggiamento nelle scuole».
È una sorta di ribellione contro l’istituzione?
«Non sempre c’è un pensiero strutturato e consapevole dietro un gesto. Spesso è violenza per la violenza, che non ha un fine, c’è un vuoto di pensiero di una intera generazione. Stiamo assistendo ad un processo di destrutturazione del pensiero, c’è una crescente fragilità, bassa tolleranza alle frustrazioni, bassa autostima, vuoto, aggravato dall’uso di stupefacenti. Per certi versi, ci sono ambiti di inadeguatezza su cui le istituzioni dovrebbero fare di più».
Cosa si fa con i “figli di mafia”?
«In Calabria è nato il protocollo “Liberi di scegliere” diventato prassi validata dal Consiglio Superiore della Magistratura e poi proposta di legge. Le mamme lì si sono ribellate per salvare i figli. Qui non è successo, c’è un atteggiamento di chiusura sul fenomeno mafioso. La nostra criminalità è molto camaleontica, mimetica. Su questo fronte ci stiamo attivando, nel senso che con il Prefetto c’è l’intesa di iniziare un tavolo per avviare una prassi sulla scia di “Liberi di scegliere”, ma serve una riflessione corale con prefettura, forze dell’ordine, procure e servizi sociali. È un discorso integrato, non sono fenomeni che si possono affrontare se non si crea la rete, a partire da una riflessione sulle peculiarità delle mafie del territorio».