«Dal 27 gennaio 2025 a oggi, il Cara ha sfrattato più di 100 persone che da pochi giorni avevano ricevuto la protezione internazionale, senza alcuna sistemazione alternativa. Non avendo accesso al Sai (seconda accoglienza post-protezione internazionale), ci ritroviamo senza alloggio né cibo, spesso per strada, e senza documenti d’identità reali se non un foglio A4 che attesta lo status». E’ quanto scrivono i migranti del Cara di Bari e quanti di loro hanno già ottenuto protezione internazionale, in una lettera diffusa da Sportello sindacale Fuorimercato Bari.
I migranti ricordano che dopo le «pressioni sulla prefettura" successive alla morte di «quattro migranti in cinque mesi nel Centro richiedenti asilo», e dopo le proteste per le condizioni "invivibili del Centro», la «Commissione ha accelerato le procedure» ma «una volta ottenuta la protezione internazionale i beneficiari hanno solo cinque giorni per lasciare il Cara». E "con la protezione internazionale si vive per strada - denunciano -. Questo perché i canali Sai, gestiti dai Comuni, sono insufficienti e non si ha modo di completare la procedura per ottenere i documenti; in questura le informazioni sono fumose e incomprensibili». «Con la protezione internazionale, senza una residenza ufficiale riconosciuta dall’autorità locale, ossia dai Comuni - sottolineano - è impossibile compiere qualsiasi passo amministrativo: richiedere la carta d’identità, aprire un conto bancario. E senza un documento d’identità è estremamente difficile accedere alla formazione o trovare un lavoro sicuro e legale».
I migranti chiedono ancora una volta di «porre fine alle condizioni insalubri e invivibili del centro, tra cui l’acqua gelata per tutto l’inverno e i container sovraffollati: ci sono fino a 10 persone stipate; bagni e docce che si allagano; scarafaggi, ratti e cimici». Inoltre chiedono «un’audizione da parte della Commissione per l’asilo entro un massimo di sei mesi; e sostegno alle persone che hanno ricevuto una risposta negativa dalla Commissione: ad esempio - evidenziano - il Cara non si assume più la responsabilità della rappresentanza legale per coloro che desiderano fare ricorso». Infine, chiedono "accesso ai documenti d’identità e al rilevamento delle impronte digitali per tutti, anche per coloro che sono stati allontanati dal Cara senza poter completare queste procedure amministrative».
«Un migrante nel Cpr in sciopero della fame da una settimana ha ingerito dello shampoo»
Ieri, 1 maggio, un «giovane migrante recluso nel Cpr di Bari-Palese, che era in sciopero della fame da una settimana, ha bevuto dello shampoo ed è finito in ospedale». Lo denuncia l’assemblea 'Nocpr Puglia, sottolineando che nello stesso Cpr un altro migrante si sarebbe procurato dei tagli mentre un altro avrebbe tentato di impiccarsi.
Alcuni attivisti, ieri, spiegano in una nota, sono andati al "Cpr per rompere l’isolamento delle persone recluse. L’abuso di psicofarmaci come il rivotril, il cibo avariato, l’isolamento e la negazione di assistenza medica - proseguono - rappresenta la quotidianità in questi centri di tortura di Stato». «Dopo un po' di pressioni da parte nostra - aggiungono - è stata chiamata un’ambulanza che ha portato la persona che aveva bevuto lo shampoo all’ospedale San Paolo, seguita da una macchina della polizia. Sappiamo che il ragazzo è stabile ma questo non ci rassicura perché il Cpr continua ad esistere, anche a Bari». A quanto apprende l’ANSA il ragazzo è stato assistito secondo le procedure del centro antiveleni e dimesso, ora è di nuovo nel Cpr.
«Dentro i Cpr - concludono gli attivisti - non viene fatta nessuna accoglienza: non solo le persone sono private della libertà, ma provano a privarle anche della dignità. Il messaggio da dentro è chiaro: è meglio farsi del male che rimanere in quell'inferno».