BARI - Attraverso le fatture per operazioni inesistenti emesse nei confronti della ex Provincia di Bari avrebbero ottenuto credito bancario per 28,9 milioni, soldi poi utilizzati «per sostenere spese personali non strettamente inerenti l’attività imprenditoriale» e per acquistare immobili di lusso. A 12 anni dai fallimenti e dall’arresto, e 10 mesi dopo l’assoluzione (grazie alla prescrizione) dall’accusa di aver truffato l’ente pubblico e le banche, la Procura di Bari presenta il conto ai fratelli baresi Erasmo e Alviero Antro preparandosi a chiederne il processo per bancarotta.
Nelle scorse settimane il procuratore Roberto Rossi ha fatto notificare ad Alviero ed Erasmo Antro, 57 e 60 anni, e a Francesca Boffoli, 61 anni, moglie del secondo, un avviso di conclusione delle indagini in cui ai due fratelli vengono contestati, a vario titolo e secondo le rispettive responsabilità, 17 episodi di bancarotta fraudolenta (anche documentale) aggravata in relazione alle società Consorzio Sigi, Infrastrutture e Servizi, Infotec e Segnaletica e Servizi, tutte dichiarate fallite a luglio 2012. A Erasmo e alla moglie è contestata una ulteriore ipotesi di bancarotta per la Ingep spa, consistita nell’aver distratto 800mila euro attraverso la sottoscrizione di una polizza bancaria, per la quale la donna risponde anche di riciclaggio e autoriciclaggio. Alcuni fatti potrebbero essere prescritti o comunque vicini alla prescrizione.
Gli Antro, appaltatori della ex Provincia per la manutenzione delle strade, per anni avevano chiesto alle banche l’anticipazione di fatture emesse a fronte di lavori in realtà mai eseguiti. Condotte definite «spregiudicate» dai giudici della Corte d’appello, che pure hanno assolto i fratelli dalle accuse di truffa aggravata, falso e violenza privata, grazie soprattutto al lungo tempo trascorso dai fatti.
La bancarotta documentale aggravata si prescrive però in 18 anni. E la Procura, valorizzando gli esiti delle indagini condotte dalla Finanza e i contenuti delle relazioni dei curatori fallimentari Ugo Patroni Griffi e Gianpiero Balena, ritiene che gli Antro abbiano non solo svuotato le casse delle quattro società di cui erano amministratori (anche di fatto), ma anche occultato le scritture contabili in maniera da nascondere la reale destinazione dei soldi ottenuti dalle banche. Soldi prelevati, in alcuni casi, anche attraverso l’uso delle carte di credito aziendali per milioni di euro. Garantendosi così un elevato tenore di vita. Un tesoro fatto di una cinquantina di immobili valutati all’epoca 32 milioni, comprese le case di lusso tra Bari, Cortina, Roma e Porto Rotondo sequestrate all’epoca dell’arresto ma poi restituite ai fratelli Antro dopo la sentenza di primo grado (che non riconobbe la sussistenza della truffa aggravata nei confronti della Provincia, pur condannando entrambi a 5 anni e 2 mesi) e nel frattempo finiti in vendita per pagare i debiti con le banche. I giudici di appello ritennero invece che la truffa alla Provincia ci fu, pur essendo prescritta. Ricostruzione definitivamente confermata dalla Cassazione che a gennaio ha respinto i ricorsi delle difese e della Procura generale.
Nelle carte dell’indagine è ricostruito il sistema utilizzato dagli Antro per svuotare le società fallite: anticipi soci, rimborsi per prestiti, prelievi diretti per cassa, persino una fantomatica società irlandese cui sono state pagate fatture relative a software di cui è stata trovata traccia. I soldi prelevati dai conti correnti sono stati usati, come detto, sia per accumulare immobili (un esempio sono i 6,2 milioni per una masseria di Rosa Marina) ma anche acquisti personali: i curatori fallimentari hanno faticosamente rintracciato i pagamenti effettuati dai fratelli per comprare abiti firmati e orologi di marca.