BARI - Il progetto del Parco della Giustizia è legittimo: non toglie verde al quartiere e non aumenta inquinamento e traffico, anzi; riqualifica un pezzo di città per decenni in stato di abbandono. È in estrema sintesi quello che i giudici del Tar rispondono al Comitato di scopo denominato «Per un parco verde di quartiere alle ex Casermette Capozzi e Milano», difeso dall’avvocato Fabrizio Lofoco in rappresentanza di dodici cittadini residenti nel quartiere Carrassi, rigettando il loro ricorso contro il progetto.
Nel giudizio dinanzi ai giudici amministrativi gli ambientalisti hanno citato decine di enti, dall’Agenzia del Demanio alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e ai Ministeri di Ambiente, Difesa, Infrastrutture, Cultura, Giustizia, Sviluppo Economico, dal Comune alla Regione, passando per Città metropolitana, Carabinieri Forestali, Vigili del Fuoco, Commissario straordinario per l’opera, Corte d’Appello, Autorità di Bacino, Enac, Arpa, Acquedotto Pugliese, Autorità idrica pugliese, Consorzio di Bonifica Terre d’Apulia, Asl, Enav, Consorzio Asi e Amtab. La sentenza ripercorre le tappe, a partire dal 2014,che hanno portato alla individuazione delle ex Casermette come sede dei futuri uffici giudiziari.
Tra i motivi principali del ricorso c’era il fatto che, secondo il gruppo di residenti, la realizzazione dei palazzi di giustizia ridurrà il «verde di quartiere», oltre ad aumentare inquinamento e traffico veicolare con «conseguente danno per la salute dei residenti». Il Tar ricorda che «le amministrazioni pubbliche hanno affrontato il tema dell’afflusso di traffico indotto dalle nuove funzioni della struttura ed hanno già programmato le iniziative necessarie», come la variante Anas alla Statale 16, con un apposito svincolo nella tangenziale a servizio del futuro Parco della Giustizia. Inoltre «il vantaggio della localizzazione in ambito già servito da mezzi pubblici consentirà un accesso non solo con mobilità privata ma anche mediante mezzi pubblici» e la «riconversione» dei vecchi edifici militari consentirà di «evitare il consumo di suolo».
I giudici evidenziano poi la scelta progettuale di «realizzazione di interventi multi-obiettivo, come l’utilizzo di materiali riflettenti a basso assorbimento di calore, gli interventi di edilizia climatica, le pareti verdi, i boschi verticali, le barriere alberate ombreggianti, i sistemi di coibentazione e ventilazione naturale, i tetti freddi e ventilati, la creazione di sistemi di raccolta delle acque meteoriche, con depurazione e accumulo finalizzato al riciclo per usi non umani, il ripristino della permeabilità del suolo», «in coerenza - dicono - con i principi della rigenerazione urbana», ritenendo che «tutto ciò comporterà una riduzione dell’inquinamento atmosferico e delle emissioni climalteranti». Ed inoltre, considerati tutti i progetti in cantiere (dal parco ex Fibronit a Costa Sud), «la quantità di “verde di quartiere” programmata per la città, corrispondente agli 11 mq per abitante, risulta soddisfatta», ricordando anche che «dei 14 ettari destinati a Parco della Giustizia, almeno 6,5 ettari saranno destinati a verde pubblico».
«In definitiva - dicono i giudici - la collocazione del Parco della Giustizia sulle aree delle anzidette dismesse Caserme è legittima, poiché la variante urbanistica non fa scendere la dotazione di verde al di sotto del minimo previsto». Anzi, «il nuovo Polo della Giustizia sarà lo strumento per rigenerare un’ampia parte del quartiere interessato, portando all’interno funzioni terziarie e integrando contemporaneamente il sistema dell’accessibilità e di dotazione concreta del verde, riconvertendo spazi urbani degradati a vantaggio della collettività insediata che vedrà incrementata la dotazione di spazi pubblici».