BARI - Omicidio volontario (con dolo eventuale) pluriaggravato dai futili motivi e dall’aver commesso il fatto «attraverso l’uso di tecniche di combattimento tali da ostacolare la privata difesa»: i giudici della Corte di Assise di Appello di Bari hanno confermato il reato e la condanna (21 anni di reclusione) all’ex pugile 21enne Fabio Giampalmo, accusato di aver ucciso a pugni Paolo Caprio, imbianchino 40enne di Bitonto, morto dopo aver battuto la testa a seguito della caduta per i colpi sferrati in pieno viso. Il delitto risale alla notte tra il 4 e il 5 settembre 2021, all’esterno del bar di una stazione di servizio sulla strada provinciale tra Modugno e Bitonto. Giampalmo è in carcere dal giorno dell’omicidio. Secondo i giudici avrebbe sferrato quei quattro pugni al volto della vittima con la volontà di uccidere. O almeno - stando alla ricostruzione dell’accusa condivisa dai giudici - con la consapevolezza che quella sequenza così rapida e violenta di colpi avrebbe potuto rivelarsi letale, accettandone il rischio.
La difesa, gli avvocati Nicola Quaranta e Giovanni Capaldi, ha impugnato la sentenza e ieri il processo è approdato in appello. I legali insistevano - come già avevano fatto in primo grado - perché venisse riqualificato il reato da omicidio volontario a preterintenzionale, evidenziando che, «seppure a conoscenza dei rudimentali della boxe», Giampalmo non sferrò colpi «tipici delle arti marziali», ma una sola sequenza di 4 pugni da boxe, di cui solo l’ultimo capace di produrre lo stordimento» e «non colpì in zone letali». I legali evidenziavano poi che «l’intensità dell’aggressione si è protratta in un tempo ridottissimo di appena quattro secondi», durante i quali l’imputato «non si accanì, non infierì sul corpo della vittima oramai indifesa e a terra, ma se ne allontanava immediatamente dopo averla resa inoffensiva, unica finalità che aveva perseguito, affinché non reagisse». Secondo la difesa, quindi, «a fronte di un numero talmente esiguo di pugni al volto, non è possibile ipotizzare che un atleta dilettante (come era l’imputato) possa prefigurarsi (accettandone il rischio), l’evenienza di un decesso come conseguenza dei suoi colpi».
Una tesi condivisa anche dalla Procura generale, rappresentata in aula dal sostituto pg Carmelo Rizzo, che infatti ieri ha chiesto alla Corte di riqualificare il reato e ridurre conseguentemente la pena da 21 a 12 anni di reclusione. I giudici, però, dopo una breve camera di consiglio, hanno confermato interamente la sentenza di primo grado, sia sulla qualificazione giuridica sia sulla quantificazione della condanna.
«Sorprende molto la decisione della Corte di Assise di Appello di confermare la sussistenza dell’omicidio volontario e la condanna ad anni 21 di reclusione nonostante anche la Procura generale avesse condiviso l’appello della difesa chiedendo la riqualificazione del reato in omicidio preterintenzionale e la riduzione della pena ad anni 12 - è il commento dell’avvocato Nicola Quaranta - Non ci resta che aspettare le motivazioni della sentenza per demandare la questione giuridica alla Cassazione che auspichiamo annulli una decisione che ci sembra ingiusta».
Nel processo erano costituite come parti civili le parenti della vittima, moglie e figlia minorenne, madre e tre sorelle, che dopo la lettura del dispositivo si sono dette «soddisfatte della conferma», assistite dagli avvocati Rossana Fallacara e Massimo Roberto Chiusolo.