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A Molfetta arriva «Old Fools» e la nuda vita che ravviva

 
Claudio Mezzina

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Claudio Mezzina

A Molfetta arriva «Old Fools» e la nuda vita che ravviva

Oggi alla “Cittadella degli Artisti” di Molfetta, lo spettacolo targato “Malalingua”

Giovedì 23 Maggio 2024, 17:10

MOLFETTA - La terza edizione di “Trame Contemporanee”, festival pugliese di teatro e drammaturgia contemporanea sotto la direzione artistica di Marianna De Pinto e Marco Grossi, sta per spalancare i battenti. A fare da apripista di un lungo, variegato e tutto interessante calendario di spettacoli troviamo “Old Fools” di Bernays (23 e 24 maggio, ore 21 alla “Cittadella degli Artisti” di Molfetta), che vede come attori protagonisti proprio i sopra menzionati direttori artistici, per la regia di Silvio Peroni. Siamo riusciti a porgere a Marco Grossi qualche domanda, attendendo di prender posto fra le sedute della Cittadella per farci partecipi di questa narrazione scenica.

Di cosa parla “Old Fools” di Tristan Bernays? Di che tipo di lavoro di tratta?

Tristan Bernays è un attore, performer e drammaturgo inglese, ultimamente molto rappresentato nell'Off Broadway e mai rappresentato in Italia. È una drammaturgia contemporanea che racconta la storia d'amore tra Tom e Viv.

È la storia della vita di due persone, è la storia di decisioni difficili, trasferimenti, figli desiderati, separazioni, tradimenti e complicità decennali; è la storia di una malattia: l’Alzheimer. La particolarità di questo testo è la frammentarietà della narrazione, fatta di zoomate avanti e indietro nel tempo, perfettamente gestite da una scrittura che sa aiutare lo spettatore a non perdersi mai nel seguire lo sviluppo della trama. Come nella memoria di un malato di Alzheimer, i ricordi si sovrappongono, si contaminano e si fondono in una sorta di commovente danza della memoria.

Cosa vorreste dire alla realtà con questo acuto realismo? Con questo sezionare lo spazio e il tempo di una mente che si sgretola?

Quando il regista Silvio Peroni ha sottoposto questo testo a me e a Marianna de Pinto, il primo incontro non è stato facile. Non è stato immediato riconoscere sulla carta la potenza che quest’opera è in grado di sprigionare. Credo che questo sia dovuto al fatto che l'autore ha saputo raccontare una storia comune in modo semplice, senza enfasi o sensazionalismi; ha saputo raccontare la vita, con tutte le sue contraddizioni, le sue gioie e le sofferenze. Interpretare questo testo significa lasciare la vita libera di esplodere in tutta la sua potenza e aiutare l'onda di questa detonazione emotiva a raggiungere e a coinvolgere gli spettatori. La scenografia è ridotta al minimo.

Che esperienza è stata quella dell’allestimento e dell’attuazione di uno spettacolo così intimo?

È inevitabile che nell'allestimento di un lavoro per l'appunto così intimo, le vicende e le esperienze personali affiorino in modo a volte prepotente. Non sempre è stato facile tenerle a bada, ma partire dall'esperienza personale, dai punti in comune e dalle distanze con questi personaggi, ha aiutato sia me che Marianna de Pinto a trovare terreno fertile su cui ancorare le radici del nostro lavoro. La magnifica regia di Silvio Peroni si è rivelata compagna preziosa nel guidarci in questo percorso. Il fatto che io e Marianna siamo una coppia anche nella vita si è presto rivelato essere un punto di forza per restituire la sincera complicità dei due protagonisti. Rispetto alla scenografia, agire in uno spazio praticamente vuoto si è rivelato all'inizio molto difficile, ma con il tempo lo abbiamo abitato con sempre maggiore familiarità, tanto da trovarlo sempre più comodo e accogliente.

Ci racconti, se possibile, un aneddoto sulla realizzazione della messinscena.

Aneddoti ce ne sarebbero molti. Provare uno spettacolo può voler dire attraversare mondi apparentemente separati e distanti. Così ci siamo trovati a passare agilmente da lezioni di foxtrot, a corsi accelerati di pronuncia francese, fino all'incontro rivelatore con l’Associazione Alzheimer Italia. Per rappresentare la malattia in modo rispettoso e consapevole, infatti, abbiamo chiesto la consulenza della dottoressa Katia Pinto, alla guida della sede di Bari. Siamo stati accolti con grandissima gentilezza e disponibilità da tutto il personale, abbiamo avuto modo di visitare il centro, conoscerne le attività e frequentare alcuni incontri in cui si aiutano le persone affette da questa malattia. Il ricordo di quelle persone, di quei volti e di quegli sguardi è rimasto impresso nella mia, nella nostra memoria e ci accompagna in ogni replica.

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