Martedì 21 Ottobre 2025 | 18:40

Il «castello di menzogne» di Mingo contro il poliziotto che indagava su di lui

Il «castello di menzogne» di Mingo contro il poliziotto che indagava su di lui

 
Isabella Maselli

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Isabella Maselli

Il «castello di menzogne» di Mingo contro il poliziotto che indagava su di lui

Depositate le motivazioni della condanna per l’ex inviato di Striscia e sua moglie

Mercoledì 15 Maggio 2024, 08:04

BARI - Per calunniare il poliziotto che stava indagando su di loro avrebbero «costruito un castello di menzogne», accusando l’ufficiale di pg di aver estorto dichiarazioni ai testimoni, di aver falsificato i verbali e di averlo fatto per perseguire interessi personali. Il Tribunale di Bari ha depositato le motivazioni della sentenza con cui nei mesi scorsi ha condannato per il reato di calunnia l’ex inviato barese di Striscia la Notizia Domenico De Pasquale, nome d’arte Mingo, e la moglie Corinna Martino alla pena di 2 anni e 6 mesi di reclusione (Mingo anche a 7.500 euro di multa per l’altra accusa di diffamazione aggravata).

I due erano accusati di aver incolpato, pur sapendolo innocente, di abuso d’ufficio e falsità ideologica l’assistente capo della polizia Gianluca De Stefano, ufficiale di pg della procura, che aveva condotto le indagini (per truffa ai danni di Mediaset, simulazione di reato e diffamazione) nei confronti dell’ex inviato del tg satirico e della moglie. Per la truffa a Mediaset Mingo e la moglie sono già stati condannati in primo grado a 1 anno e 2 mesi di reclusione (pende il processo d’appello).

Nella sentenza il giudice monocratico Mario Mastromatteo si sofferma a lungo sui comportamenti della coppia, ritenendo di non poter concedere le attenuanti per la «indiscutibile gravità dell’accaduto, che ha visto Martino e De Pasquale ordire in danno della persona offesa un complesso di menzogne, da un lato, gravemente lesive della reputazione del pubblico ufficiale e, dall’altro, concretamente idonee ad esporlo a gravissime conseguenze personali e professionali in ragione dell’apertura a suo carico di un procedimento penale archiviato dopo oltre un anno dai fatti».

Martino, ricostruisce il giudice, «non si limitava a portare all’attenzione del magistrato fatti e circostanze apprese da altri, piuttosto, attraverso la loro manipolazione, l’imputata costruiva un castello di menzogne, rispetto al quale non poteva avere alcuna consapevolezza di veridicità, per la semplice ragione che nessuno dei suoi collaboratori le aveva mai riferito tali circostanze».

Tutto questo avrebbe causato un «grave turbamento psichico nella vittima, esposta suo malgrado ai pressanti timori legati alla pendenza del procedimento a suo carico e alle gravissime accuse veicolate attraverso una esposizione mediatica non comune». Nel decreto di archiviazione dell’inchiesta a carico del poliziotto si legge che De Pasquale e Martino «speravano invano che la loro versione dei fatti venisse confermata dai testi da loro citati, avendo costruito la ormai famigerata “macchina del fango” nel tentativo di inquinare le prove a loro carico». Mingo, poi, sarebbe andato oltre, convocando una conferenza stampa (il cui contenuto fu anche diffuso sui social) per ribadire quelle accuse infondate. Con riferimento a questa circostanza la procura aveva ipotizzato il reato di oltraggio, riqualificato dal Tribunale in diffamazione.

Per la calunnia e la diffamazione finalizzata a «screditare nella dignità personale e professionale» dell’investigatore «attribuendo al pluridecorato ispettore di polizia De Stefano gravissimi reati», i due imputati sono stati condannati a risarcire la parte civile, assistita dall’avvocato Andrea Moreno, con provvisionali di 10mila lei e 15mila lui.

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