BARI - Quattro anni di reclusione per quasi tre chili di droga che i carabinieri trovarono in casa sua quando, il 28 giugno 2023, andarono a notificargli un’ordinanza d’arresto per narcotraffico internazionale. Tanto ha patteggiato Alceste Giancarlo Cavallari, detto «Gianky», figlio dell’ex re Mida della sanità privata pugliese Francesco Cavallari.
Quando i militari si presentarono a casa sua per portarlo in cella con l’accusa di aver fatto da tramite tra le organizzazioni criminali pugliesi e i narcos spagnoli, trovarono 346 dosi di cocaina (circa 60 grammi), 245 di marijuana (50 grammi) e 9.882 dosi di hashish (poco più di 2,7 chili). Così oltre all’ordinanza di custodia cautelare eseguirono un arresto in flagranza. Sul piano processuale le due vicende hanno seguito strade diverse.
Per il traffico internazionale di droga contestato in concorso con altre 28 persone è cominciata nelle scorse settimane l’udienza preliminare. In 25, compreso Cavallari, hanno chiesto il rito abbreviato. L’accusa per il 57enne Alceste Cavallari, difeso dall’avvocato Valeria Volpicella, è di aver fatto parte di una associazione per delinquere, capeggiata dal boss di Noicattaro Giuseppe Annoscia, l’ex sanguinario di Poggiallegro, affiliato al clan Parisi di Japigia (ha trascorso in cella quasi 27 anni per 11 omicidi risalenti agli anni Novanta), e dal pregiudicato di Altamura Vito Facendola, ritenuta la cellula operativa dell’importazione di decine di chili di droga dall’estero (anche Annoscia e Facendola hanno scelto l’abbreviato). E in Spagna, in particolare in Andalusia, a tenere i rapporto con i narcos sarebbe stato proprio Cavallari. Assistito dall’avvocato Valeria Volpicella, Cavallari già nell’interrogatorio di garanzia dopo l’arresto a giugno scorso, aveva ammesso quasi tutte le accuse: nove episodi di detenzione ai fini di spaccio di droga da febbraio a maggio 2022.
Il 18 marzo 2022 Alceste Cavallari avrebbe acquistato nella località spagnola di Alcalà de Guadaira, in Andalusia, 25 chili di marijuana da cui poter ricavare 111.357 dosi e quasi 30 chili di hashish (209.999 dosi). Da lì, dopo aver organizzato la transazione con Raul, Toros, David e Jesus (i suoi presunti fornitori non identificati), avrebbe spedito il carico in Italia in una cassa in legno, tracciato grazie a un localizzatore gps. Quella droga, però, l’8 aprile 2022, al suo arrivo a Molfetta, fu sequestrata. Era destinata a un panificio di Altamura gestito dalla mamma di un affiliato. Gli era andata meglio qualche settimana prima, quando il 7 febbraio avrebbe acquistato altri 20 chili, sempre in Spagna e sempre tramite tale Raul, ritirando il pacco personalmente a Bari. E la stessa cosa avrebbe fatto il 20 maggio: 6 chili arrivati con corriere da Siviglia e consegnati direttamente nelle sue mani.
La capacità di Cavallari di entrare in contatto con i narcotrafficanti all’estero sarebbe, però, ben precedente agli accordi documentati con il clan di Altamura. A ottobre 2019, infatti, fu arrestato a Grenoble (in Francia) con 36 chili di droga. Una vicenda che gli è costata un processo (con condanna a 3 anni di reclusione), quasi 2 anni in un carcere francese e l’espulsione. Ed era da poco tornato a casa, a Bari, quando i carabinieri hanno iniziato a intercettare i suoi nuovi affari illeciti con i sodali di Annoscia e Facendola. Gli affari sono andati avanti per mesi, fino a quando i carabinieri, coordinati dai pm della Dda di Bari Marco D’Agostino e Grazia Errede, hanno messo in fila i tasselli e ricostruito ruoli e presunte responsabilità. Nelle prossime settimane sarà discussa la sua posizione in aula. La vicenda dei quasi 3 chili di droga che i militari gli trovarono in casa il giorno dell’arresto, si è invece già chiusa con il patteggiamento ratificato ieri.