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Bitonto, ucciso a pugni davanti al bar: ricorso in appello della difesa

 
isabella maselli

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isabella maselli

Bitonto, ucciso a pugni davanti al bar: ricorso in appello della difesa

L’ex pugile Fabio Giampalmo è stato condannato in primo grado a 21 anni. l processo di secondo grado inizierà l’11 giugno: «non è omicidio volontario»

Martedì 27 Febbraio 2024, 13:13

BARI - Proverà a ridimensionare le accuse che in primo grado gli costate una condanna a 21 ani di reclusione l’ex pugile 21enne Fabio Giampalmo, accusato di aver ucciso a pugni Paolo Caprio, imbianchino 40enne di Bitonto, morto dopo aver battuto la testa a seguito della caduta per i colpi sferrati in pieno viso. Il delitto risale alla notte tra il 4 e il 5 settembre 2021, all’esterno del bar di una stazione di servizio sulla strada provinciale tra Modugno e Bitonto. Giampalmo è in carcere da quel giorno e a giugno dell’anno scorso è stato condannato dalla Corte di Assise per omicidio volontario (con dolo eventuale) pluriaggravato dai futili motivi e dall’aver commesso il fatto «attraverso l’uso di tecniche di combattimento tali da ostacolare la privata difesa» e condannato a 21 anni di reclusione. Avrebbe sferrato quei quattro pugni al volto della vittima con la volontà di uccidere. O almeno - stando alla ricostruzione dell’accusa condivisa dai giudici - con la consapevolezza che quella sequenza così rapida e violenta di colpi avrebbe potuto rivelarsi letale, accettandone il rischio.

La difesa, gli avvocati Nicola Quaranta e Giovanni Capaldi, ha impugnato la sentenza e l’11 giugno il processo approderà in appello. I legali insistono - come già avevano fatto in primo grado - perché venga riqualificato reato da omicidio volontario a preterintenzionale, evidenziando «l’erronea convinzione della Corte di Assise che l’imputato avesse praticato nei confronti di Caprio arti marziali e non, invece, quattro pugni da boxe in zone del corpo non vietate poiché non letali (come la “fascia del moicano”)». «Da tanto consegue - secondo i difensori di Giampalmo - che un pugile con una chiara, o solo eventuale, volontà omicidiaria, agendo in danno di una vittima inconsapevole dei suoi intenti, avrebbe portato i suoi colpi nelle regioni “proibite” e non nelle canoniche aree designate dalla boxe come bersaglio che furono attinte durante l’aggressione». Ancora, «seppure a conoscenza dei rudimentali della boxe», Giampalmo - insiste la difesa - non sferrò colpi «tipici delle arti marziali», ma una sola sequenza di 4 pugni da boxe, di cui solo l’ultimo capace di produrre lo stordimento» e «non colpì in zone letali». I legali evidenziano poi che «l’intensità dell’aggressione si è protratta in un tempo ridottissimo di appena quattro secondi», durante i quali l’imputato «non si accanì, non infierì sul corpo della vittima oramai indifesa e a terra, ma se ne allontanava immediatamente dopo averla resa inoffensiva, unica finalità che aveva perseguito, affinché non reagisse».

Secondo la difesa, quindi, «a fronte di un numero talmente esiguo di pugni al volto, non è possibile ipotizzare che un atleta dilettante (come era l’imputato) possa prefigurarsi (accettandone il rischio), l’evenienza di un decesso come conseguenza dei suoi colpi». L’azione di Giampalmo, cioè, «non fu caratteristica di un pugile che voglia causare la morte di un avversario inconsapevole o, quantomeno, si sia determinato a percuoterlo anche a rischio di cagionarne il decesso». Ed è per queste ragioni che dinanzi ai giudici della Corte di Assise di Appello gli avvocati chiederanno di ridurre la pena inflitta al ragazzo che, ricorda e sottolinea la difesa, «ha dichiarato il proprio dispiacere ed implorato perdono ai familiari della vittima per quanto successo». E se le attenuanti generiche dovessero essere ritenute prevalenti rispetto alle aggravanti, il 21enne potrebbe ottenere anche un ulteriore sconto di un terzo sulla pena, cioè quello previsto dal rito abbreviato.

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