BARI - La presidente di sezione della Corte d’Appello di Bari Rosa Calia di Pinto resta al suo posto. Il Tar per il Lazio ha respinto il ricorso della sua collega Giovanna de Scisciolo che aveva impugnato innanzi ai giudici amministrativi la delibera con la quale il Consiglio superiore della magistratura aveva appunto designato Calia di Pinto all’incarico semidirettivo. De Scisciolo, assistita dagli avvocati Aristide Police e Alessandro Parini aveva contestato la valutazione del Csm, ma il Tar per il Lazio (estensore Matthias Viggiano, presidente Antonino Savo Amodio), condividendo le argomentazioni della controinteressata Calia di Pinto, assistita dall’avvocato Saverio Sticchi Damiani, è stato di diverso avviso.
Secondo i giudici amministrativo innanzitutto «va osservato come al Csm vada riconosciuta un’ampia discrezionalità nella valutazione degli elementi fattuali al fine di individuare il candidato maggiormente idoneo a ricoprire un determinato ufficio direttivo: ciò comporta, specularmente, una restrizione del sindacato del giudice amministrativo limitato ai vizi di carattere formale ovvero logico, mentre resta preclusa la valutazione sull’opportunità e convenienza del provvedimento».
Inoltre, «deve rilevarsi come nella comparazione dei profili il Csm abbia sottolineato la maggiore durata dell’esperienza vantata dalla dott.ssa Calia di Pinto (superiore di circa un anno), nonché la maggiore pregnanza della stessa: difatti, appare indubbio che un ufficio giudiziario come il Tribunale di Bari (ufficio di grandi dimensioni) sia organizzativamente più complesso della sezione distaccata di Taranto della Corte d’appello di Lecce (dove era in servizio il magistrato de Scisciolo, ndr), con la conseguenza che, a fronte di risultati encomiabili raggiunti da ambedue le candidate, ragionevole sia la prevalenza di chi abbia dovuto gestire situazioni più problematiche».
Insomma, le doglianze della ricorrente «perdono consistenza, risolvendosi, sostanzialmente, in un’inammissibile diversa (e favorevole) lettura degli atti istruttori, senza però tradursi - in altre parole - in effettive censure di legittimità».