BARI - Oggi ci sarà bel tempo, dopo la pioggia di ieri. In questo ottobre quasi estivo, crogiolarsi al sole attorniati dalle bellezze di Bari vecchia continua a essere un toccasana per sgombrare la mente dalle fatiche settimanali e per i turisti il momento indimenticabile di una vacanza che rimarrà nella memoria vita natural durante. Mentre in piazza del Ferrarese e in piazza Mercantile, in corso Vittorio Emanuele e in largo Adua, baresi e visitatori si accomodano, nella maggior parte dei casi ignari delle polemiche, nei dehor per gustare uno spritz oppure per pasteggiare assaggiando le nostre prelibatezze, i ristoratori, anche quando sono al lavoro, sono in continuo contatto per definire le azioni di contrasto al decreto con il quale nello scorso novembre il Segretariato regionale del Mic ha prescritto di spostare le strutture poste all’esterno degli esercizi commerciali a non meno di 1,2 metri dagli edifici, in modo da consentire alle persone di avere la «completa percezione» delle bellezze dei luoghi di pregio della città. Stando alle direttive, i locali ubicati nei luoghi di «eccezionale valore storico» della città (Bari vecchia, Murat e Umbertino, ma anche a Torre a Mare, dove c’è Torre Pelosa e a Santo Spirito, dove c’è l’omonima torre) dovranno adeguarsi, pena la mancata concessione del rinnovo dell’autorizzazione per l’occupazione del suolo pubblico ai fini della somministrazione di alimenti e bevande.
COMPLESSITà La situazione generale è complessa. Ma intanto i commercianti hanno incassato l’appoggio del sindaco («la Soprintendenza entrando nel merito della distanza dei dehor dai muri degli edifici è andata oltre le proprie competenze», ha affermato Antonio Decaro), oltre che della Fipe (Confcommercio), la Federazione italiana pubblici esercizi, leader nel settore della ristorazione e dell'intrattenimento. Il primo cittadino ha anche affermato di voler spingere affinché il Governo estenda con una proroga, come ha già fatto in passato col decreto Milleproroghe, la durata delle semplificazioni previste (per ora fino al 31 dicembre) per la posa in opera di dehors, tavolini, ombrelloni sul suolo pubblico da parte dei locali, un'agevolazione introdotta nel 2020 e poi prolungata per favorire la ripresa delle attività economiche sospese o ridotte per l’epidemia Covid-19. Ma nel caso specifico la questione è più complessa perché il nodo del contendere riguarda i vincoli nei luoghi di pregio del capoluogo che il Segretariato ha specificato in un allegato al decreto del novembre scorso. La Soprintendenza considera dirimente, per poter svolgere l’attività, ottemperare a tutte le prescrizioni (fra cui appunto staccare i gazebo dagli edifici), mentre l’Amministrazione comunale ritiene che si vada oltre le prerogative. In questa situazione, e con i rinnovi delle concessioni in forse (la Soprintendenza ha intimato ai richiedenti di uniformarsi entro 45 giorni e domenica prossima ci sono le prime scadenze delle autorizzazioni), i ristoratori hanno deciso di rivolgersi al Tar.
CAPITALE Il caso di Bari non è isolato. In tutte le grandi città c’è l’esigenza di trovare l’equilibrio fra le varie esigenze. Prendiamo Roma. Nella Capitale, dove al contrario auspicano che non vi siano ulteriori proroghe alle deroghe Covid, dal 1° gennaio entrerà in vigore il nuovo Regolamento sulle occupazioni di suolo pubblico, il cui obiettivo è ridurre significativamente la presenza dei tavolini nelle aree dove l’impatto è maggiore (Trastevere e Borgo Pio, ad esempio). Divisa in tre macrozone (area Unesco, Città storica e Suburbio), a Roma nella zona Unesco, pur rispettando le norme di tutela urbanistica o paesaggistica attuale, nasceranno sei ambiti (centro storico, Monti, Trastevere, Borgo, Testaccio e Celio). In base alla presenza dei locali esistenti, saranno considerate zone rosse quelle dove restringere la presenza dei tavolini e zone gialle quelle dove poter essere più flessibili. Quel che conta è che il Comune capitolino punta a dimezzare le postazioni nel centro storico, dove saranno vietati altri dehor, mentre altrove ci sono prescrizioni meno stringenti, a meno che i presidenti dei Municipi non chiedano restrizioni (a Bari potrebbe avvenire nella zona dell’Umbertino, ad esempio).
SPECIFICITà Da decenni a Roma si discute sulla rimodulazione del criterio che determina l’ampiezza dell’occupazione di suolo pubblico: se prima della pandemia l’estensione era commisurata alle vetrine, nel nuovo Regolamento si terrà conto della capienza interna. La superficie esterna sarà proporzionale al numero di sedie e tavolini allestiti dentro il locale. Se fosse così a Bari vecchia, in molti, non avendo sostanzialmente spazi interni, chiuderebbero. Oppure dovrebbero ridimensionarsi (e non di poco) se passasse anche il criterio di proporzionalità: nel centro storico delimitato dalle Mura Aureliane gli arredi esterni potranno essere un terzo della superficie di somministrazione interna; nella Città storica (che comprende Tevere, Mura, Parco archeologico monumentale, Foro Italico-Eur, cintura ferroviaria) la quota sarà invece fino al 50%. «È interessante capire quanto accade altrove - afferma Gianluca Spagnuolo, titolare di un ristorante in piazza Mercantile - ma ogni città ha le proprie specificità. A parte il fatto che la Fipe a Roma è in agitazione e ha minacciato di portare le sedie in Campidoglio, da noi quelle disposizioni sarebbero proprio impossibili. Semmai, potrebbe essere compatibile il nuovo Codice degli arredi romano che ha predisposto una griglia di opzioni, ma mantenendo una uniformità estetica, con l’indicazione dei materiali, delle dimensioni e dei colori tra cui l’operatore potrà scegliere. Quella di realizzare un progetto uniforme è stata una richiesta che ci è stata già fatta in passato, e sulla quale siamo tendenzialmente d’accordo. Ma vorrei far notare che se avessimo investito migliaia di euro per cambiare i nostri arredi, ci saremmo poi trovati esattamente nella situazione attuale: rischiare di riparametrare tutto. Adeguare il mio locale, che è adiacente alla sede della Guardia di Finanza, costerebbe circa 40mila euro. Con le misure di paraventi e ombrelloni esistenti sarebbe infatti impossibile allontanarsi di 1,2 metri dall’edificio senza rifare tutto. Questa è la ragione per la quale è necessario un ragionamento complessivo, sperando in una reale interlocuzione fra Comune e Soprintendenza e nel coinvolgimento di noi ristoratori, i quali finora non sono stati compiutamente ascoltati».
La prescrizione contestata dagli operatori «Distanziare i dehor a 1,2 metri dai muri»
Le aree e i siti vincolati non sono soltanto al Murat, ma anche in periferia
Per ottenere le concessioni per l’occupazione del suolo pubblico (molte, di solito triennali, sono andate in scadenza e altre lo saranno a breve) la Soprintendenza richiede agli esercenti dei locali di somministrazione di alimenti e bevande ubicati nei luoghi sottoposti a vincolo, perché insistono su aree e siti di «eccezionale valore storico» (specificati nell’elenco allegato al decreto del novembre scorso a firma di Maria Piccarreta, segretario regionale pugliese del Mibact), non solo l’allestimento all’esterno di dehor che rispettino una serie di caratteristiche materiche, tecniche e dimensionali (esempio: «gli ombrelloni da porre in opera dovranno essere del tutto privi di prolungamenti verticali con teli plastificati e non, velette e/o elementi verticali posti a discesa, seppur di minima dimensione, e che i paraventi telescopici potranno essere estesi nella loro massima estensione verticale nei soli casi di estrema necessità, diversamente da rilevabile dalla diretta presa visione dell'attuale stato dei luoghi»), ma anche, al fine di «assicurare la più completa percezione delle cortine degli edifici» di assicurare «nelle vie e nelle strade che insistono sulle aree individuate un opportuno distacco dagli edifici, che dovranno pertanto essere liberi da occupazione per una larghezza non inferiore a 1,20 metri».
L’arrivo nelle scorse settimane di pec con le quali si richiede l’adeguamento entro 45 giorni, pena il mancato rinnovo delle licenze, ha messo in subbuglio i ristoratori. Staccarsi dai muri secondo loro avrebbe effetti sulla sicurezza (le intemperie potrebbero causare danni ancora maggiori rispetto a quanto già fanno adesso), ma anche (se non soprattutto, guardandola dal punto di vista commerciale) sull’economia delle attività. C’è chi a Bari vecchia, per come sono stati concepiti e realizzati gli arredi, non ha gli spazi per spostarsi nemmeno di un centimetro. Per questo gli avvocati amministrativisti interpellati hanno consigliato agli operatori di inoltrare istanza al Tar, ricorso che avverrà nei prossimi giorni. Da Palazzo di città si ritiene peraltro che il decreto del Segretariato del Mic contenga disposizioni (come appunto la distanza dagli edifici) di propria competenza. Il decreto contestato ingloba zone che ricadono non soltanto nei quartieri centrali della città (Bari vecchia, Murat, Umbertino), ma anche periferici: Santo Spirito, ad esempio, dove c’è la torre asburgica, Torre a Mare, dove c’è Torre Pelosa, Loseto (castello) e Ceglie (chiesa matrice).