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Bari, una giornata al Pronto soccorso tra infermieri e medici in trincea

 
Maria Grazia Rongo

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Maria Grazia Rongo

Bari, una giornata al Pronto soccorso tra infermieri e medici in trincea

Fino a quando non capita a te non lo capisci fino in fondo

Domenica 22 Ottobre 2023, 12:00

BARI - Fino a quando non capita a te non lo capisci fino in fondo. Fino a quando non ti trovi all’improvviso nelle stanze affollate di un Pronto soccorso e smetti di avere un nome e un cognome e diventi un codice di colore che ti identifica, non lo sai veramente cosa accade dietro quelle porte.

ECCELLENZA - Non sai, ad esempio, che al Policlinico di Bari, polo universitario d’eccellenza, il più grande nosocomio pugliese (tra i più grandi del Sud Italia), nel pronto soccorso, in turno c’è un solo cardiologo d’urgenza. Uno solo. Che il più delle volte deve farsi in quattro, e anche in cinque o sei. Da solo, perché nella sua stanza non ha neanche più a disposizione un infermiere, quindi lui apre la porta al paziente e a tutti quelli che devono comunicargli qualcosa, lui visita, lui scrive il referto, lui risponde alle telefonate, lui aiuta il paziente a rialzarsi e lo riaccompagna alla porta.

EPOCA PRE.COVID - Fino a qualche anno fa, nell’epoca pre-Covid, i cardiologi d’urgenza in servizio al Pronto soccorso del Policlinico erano sedici, che turnavano a gruppi di quattro. Ora sono in tutto quattro, uno per turno. E se uno di loro si ammala? E se arrivano due infarti in contemporanea cosa si fa? Si tira al tocco?

MULTITASKING - «E andrà sempre peggio», ci dicono con rammarico, aggiungendo che ovviamente essendo così pochi, spesso viene chiesto loro di coprire molte più ore di quelle che spetterebbero, mentre da ore attendiamo di essere visitati. Nel frattempo ti guardi intorno e ti chiedi dove siano finiti i medici in generale lì dentro, considerando che ne hai visti uno solo nel turno della mattina, e una sola nel turno del pomeriggio (che tra l’altro a un certo punto decide di farsi attaccare una flebo di antidolorifico perché ha un mal di testa devastante).

Circondati da pochi infermieri, tutti giovanissimi, che lavorano anche loro instancabilmente, per carità, ma poi capita che ti devono fare un prelievo e non riescono a trovare la vena così invece di farti un buco te ne fanno quattro in totale. E capita anche che per la foga di fare in fretta perché appunto si è pochi, troppo pochi per le decine di pazienti che occupano ogni angolo lì, sfugge una provetta di mano e metà del contenuto ematico finisce sul pavimento, e tu che guardi, pensi: «Ma dove mi trovo precisamente? Su Scherzi a parte?»

LA PIAGA - Sappiamo che la piaga dei medici in fuga dai Pronto soccorso e dalla sanità pubblica è una piaga che affligge l’Italia intera, sappiamo che i corsi di specializzazione in medicina d’urgenza sono ormai deserti, ma da noi, in Puglia, a Bari, questo buco nero è diventato una voragine e ce ne accorgiamo davvero solo quando siamo noi a varcare quelle porte scorrevoli.

SUGGERIMENTO - Forse sarebbe questo il suggerimento da dare a chi decide costi, tempi, luoghi e procedure della sanità, a chi la amministra: per una volta entrate nei Pronto soccorso da pazienti, guardatevi intorno, attendete ore per ricevere un consulto insieme a chi ha una colica renale, un infarto, una gamba spezzata (e mi fermo qui), e poi con le braccia stile colabrodo per i prelievi riusciti e non, tornate nei vostri uffici dorati, sulle vostre poltrone sicuramente più comode di quelle in ferro di una sala d’aspetto o di una barella posteggiata in un corridoio, e prendete delle decisioni sensate, perché lì dentro ci sono uomini e donne – fino a poco tempo fa li chiamavamo «eroi» - che devono salvare le nostre vite ma che non sono più messi nelle condizioni di farlo al meglio: pochi, troppo pochi, sottopagati, a rischio. E non serve più dire «la sanità pubblica è allo sbando». Lo «sbando» è già superato.

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