BARI - L’ultimo saluto a un capo ultras sotto la curva nord dello stadio San Nicola costò a due tifosi l’accusa penale di raduno e corteo funebre non autorizzati e violenza privata. Dopo cinque anni il processo si è chiuso con il proscioglimento di entrambi gli imputati: prescritta la violazione del Tulps (il testo unico sulla pubblica sicurezza) e improcedibile (perché con la riforma Cartabia è diventato procedibile a querela) il reato di violenza privata.
La vicenda risale all’11 luglio 2018. Alla sbarra Giovanni Belviso, 47 anni, «responsabile del gruppo Ultras “Re David”», soprannominato «Petardo», e Gregorio Orfanù, 47 anni, «noto esponente dell’ormai sciolto gruppo del tifo organizzato denominato U.C.N. 1976», indagato nella sua veste di dipendente di un’agenzia di pompe funebri, «incaricato allo svolgimento del funerale» di Nicola Giordano, a tutti noti come «zio Giordan», «un leader della tifoseria» secondo la Digos. Al termine del rito funebre celebrato a Carbonara, circa 150-200 tifosi con le magliette del Bari e lo striscione «ciao zio Giordan indomito ultras», si spostarono allo stadio, scortando il carro funebre e, arrivati all’esterno della curva nord, cori da stadio, fumogeni e petardi.
Ma dalla Digos era arrivato un «espresso divieto», si legge nelle carte processuali. Così nel mirino del pm Michele Ruggiero era finito il «raduno non autorizzato» che sarebbe stato organizzato da Belviso, con Orfanù che «sebbene a conoscenza della volontà degli ultras di radunarsi presso lo stadio San Nicola, non impediva che il collega autista venisse minacciato da alcuni facinorosi». L’autista avrebbe anche provato, invano, a fare cambiare idea ai tifosi. Una volta davanti allo stadio, Orfanù poi «scendeva dal mezzo, apriva il portellone posteriore e partecipava attivamente all’assembramento», con un fumogeno acceso in mano.
Durante il processo dinanzi al giudice Giovanna Dimiccoli, sono stati sentiti come testimoni l’autista del carro funebre, che ha confermato la dinamica, e l’ispettore della Digos che quel giorno aveva preso contatti con la tifoseria vietando il corteo , ricevendo da Belviso - ha raccontato in udienza - anche una telefonata minatoria: «Voi non siete nessuno, qui comandiamo noi, non ci potete vietare questa manifestazione».
Una vicenda - chiusa ormai penalmente con il proscioglimento dei due imputati, Belviso e Orfanù, difesi dagli avvocati Samanta Dellisanti e Luca Maggi - che ricorda per certi aspetti quella più recente, e simbolicamente più grave, del corteo funebre ritenuto mafioso organizzato davanti al carcere di Bari, con il feretro di un ragazzo morto in incidente stradale, parente di pregiudicati detenuti, scortato fin sotto le celle da un centinaio di moto. Anche su questo la Procura è al lavoro.