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Pasqua nel Barese, un viaggio nelle tradizioni alle radici del Mistero

Pasqua nel Barese, un viaggio nelle tradizioni alle radici del Mistero

 
Annadelia Turi e Francesco Monteleone

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Annadelia Turi e Francesco Monteleone

Pasqua nel Barese, viaggio alle radici del Mistero

E la tavola si fa benedetta con agnello e colomba, simboli che non posso mancare

Giovedì 06 Aprile 2023, 12:47

BARI - Dalla celebrazione della messa del Crisma alla veglia Pasquale: tra fede e tradizioni prende il via da oggi il triduo pasquale a Bari, ovvero i tre giorni antecedenti la Pasqua, secondo i riti della fede cristiana. Una festività sentita anche all’interno dell’Istituto penale per i minorenni “Fornelli”, dove hanno vissuto la Quaresima come un tempo di grazia e di profonda riflessione sul loro futuro. Se l’anno scorso come segno di partecipazione alla vita della Chiesa diocesana di Bari-Bitonto i ragazzi hanno voluto offrire le essenze profumate per comporre l’olio del Crisma, quest’anno è nata l’idea di realizzare un laboratorio eucaristico dal titolo: “Eucarestia, il Pane del Perdono”. I ragazzi si sono cimentati a realizzare manualmente le ostie per la Pasqua che saranno distribuite il Giovedì Santo, al termine della Messa Crismale a tutti i parroci.

Avvio - Secondo il calendario degli appuntamenti religiosi della Diocesi Bari-Bitonto si comincia questa mattina alle 10 in Cattedrale con la celebrazione della messa Crismale, durante la quale l’arcivescovo, Monsignor Giuseppe Satriano, benedice gli oli nuovi: il Crisma, quello utilizzato per il sacramento del battesimo; l’olio dei catecumeni e quello dedicato all’unzione degli infermi. Gli oli verranno consegnati alle singole parrocchie per la presentazione solenne della messa serale della Cena del Signore. Nell’ambito della stessa celebrazione si ricorderà anche l’istituzione del sacerdozio: al rito, infatti, parteciperanno tutti gli ordinati della Chiesa diocesana, rinnovando davanti al vescovo le loro promesse. Nel pomeriggio, nelle parrocchie si svolgerà la messa “in Coena Domini” con il rito della lavanda dei piedi. Due le liturgie eucaristiche dedicate alla messa in “Coena Domini” presiedute dall’arcivescovo di Bari: alle 15 nella Casa Circondariale di Bari e alle 18.30 in Cattedrale. Successivamente, come vuole la tradizione barese, tutte le chiese resteranno aperte fino a tarda ora per l’adorazione eucaristica animata dai vari gruppi parrocchiali, dando il via al rito dei «sepolcri».

«Sepolcri» - Gli altari delle chiese vengo addobbati con fiori, candele, cesti di pane, spighe e tante luci per il cosiddetto rito dei «sepolcri». Nella liturgia cattolica, invece, l’altare è il luogo in cui viene conservata l’Eucaristia al termine della messa vespertina del Giovedì santo. La celebrazione rievoca l’ultima cena prima della condanna di Gesù. L’altare della reposizione, dunque, non coincide con quello dove si celebra l’Eucaristia. Gli addobbi rappresentano un omaggio all’Eucarestia che viene conservata in un’urna denominata repositorio per permettere la distribuzione della comunione nel giorno del venerdì santo. «Andare a fare i sepolcri», come vuole la tradizione barese, significa rispettare un’usanza ben precisa, non certificata dalla dottrina cristiana: ovvero visitare tra le cinque (quante sono le piaghe di Cristo) e le sette chiese (quanti sono i dolori della Madonna), rispettando sempre il numero dispari. È un giorno molto sentito, soprattutto a Bari vecchia. Per l’occasione vengono aperte e addobbate con fiori freschi anche le piccole chiese che solitamente restano chiuse. In migliaia, in silenzio, arrivano dinanzi all’altare per restare qualche minuto di preghiera. Poi la tipica passeggiata tra i vicoli di Bari degustando focaccia calda e le sgagliozze.

PROCESSIONE - Venerdì, invece, è il giorno dedicato alla processione dei Misteri per le vie della città. Si comincia intorno alle 9.30 con la partenza da Bari vecchia. Le statue dei santi della chiesa di San Gregorio vengono preparate e sistemate nella Basilica di San Nicola. Poi vengono portate a spalla dai fedeli delle varie confraternite e attraversano la città: il rientro in serata è previsto in Basilica. Il passaggio delle statue è ritmato dai suoni lenti delle marce funebri delle bande musicali. In tanti si fermano, fanno un segno di croce mentre i misteri sfilano, addobbati di fiori. Dai balconi assistono in tanti alla processione. Sono momenti in cui tutto si ferma mescolando fede e tradizioni popolari. Alle 15, infine, in molte parrocchie della città è prevista la liturgia della croce. Durante la celebrazione, i fedeli, in fila, raggiungono l’altare per baciare il crocifisso in adorazione a Gesù morto.

Tavola benedetta agnello e colomba (di Francesco Monteleone)

«Devi interrogare gli ottantenni se vuoi sapere come stanno le cose. Nella loro mente è ancora intrappolata, grazie a Dio, l’immacolata tradizione del pranzo pasquale». Il consiglio dell’antropologo ha anche un retropensiero ruvido: nella domenica della Resurrezione le giovani generazioni non si schierano più a fianco della caldaia, per festeggiare la fine dei digiuni quaresimali. Non sono angeli ribelli, ma dover cucinare piatti complessi e per tante persone è ormai diventato faticoso. Così, per mandare in cronaca il pezzo sulla santa dieta o prendo ispirazione dal cielo o chiedo in prestito la memoria a due testimoni che hanno sigillato la loro lunga vita con virtuose abitudini: Francesca di Gioia (87 anni), mamma e nonna con cultura ultra-popolare e mastodontico lavoro di capofamiglia; Nicola Pignataro, il capocomico che ha saputo arrivare su-su, descrivendo in teatro la vita dei suoi concittadini con tanti sorrisi e tanti ricordi, senza lasciare nessuna pagina bianca. A entrambi domandiamo: per “essere felici come una Pasqua” cosa si deve mangiare a Pasqua?

Franca, cattolica integralista, indica il rito come obbligo iniziale. «Messi a sedere i conviviali, si benedice la tavola con un ramo di ulivo bagnato nell’acqua santa della chiesa; poi si compie l’ultimo atto di fede, inviando una preghiera collettiva a Dio; dopodiché le cuoche danno accesso alla scorpacciata».

Pignataro dice la stessa cosa con altro stile: «Noi aspettavamo il ‘pronti-via’ per crapulare, dopo il lungo periodo di penitenza e astinenza della Quaresima. A casa quel segnale lo dava mio padre. Al centro della tavola c’era già il “Benedetto”, un grande vassoio decorato ai bordi con fettine di arancio e strapieno di soppressata calabrese, salame piccante e dolce, fettine di uova sode (colorate di rosso con un’erba marina che vendevano i pescatori), ricotta dolce e ricotta salata… Ma il piatto forte della tradizione pasquale è sempre stato nelle famiglie baresi l’agnello in umido con i piselli, una delizia per il palato inventata con tanta sapienza e raffinatezza da artiste del gusto a noi ignote. Suscita tanta ammirazione, ma in pochi lo fanno ormai. Io sì. Last but not least, poiché desidero rimanere in contatto con la terra ho già comprato mezzo agnello ad Altamura, dove la specie è ben tenuta. Modestamente sono io a cucinare la pietanza, mia moglie è metà romana e metà napoletana, può partecipare, ma non sostituirmi ai fornelli.

Ritorniamo da Franca: «Io non ho mai escluso, come primo piatto, una porzione abbondante di pasta con la ricotta o con il sugo di agnello! Alla vista degli invitati non devono mai mancare i carciofi fritti. Esaurita la carne si va allo sbocco finale con i dolci: scarcella (a 1 -2- 3 uova) con gli anisin’, colomba, pastiera o molto meglio la pizza di ricotta. Hai notato? A Pasqua aumenta il desiderio e il consumo di ricotta; io la compero abbondantemente perché quella che avanza la faccio fritta!

Che spirito inesauribile! Siamo arrivati all’ultimo giro. Lasciamo i consulenti e scommettiamo la nostra gloria di giornalisti su Pino Ladisa il maestro cioccolatiere di San Pasquale che ha portato nella tradizione dolciaria una tripla espansione del piacere. A 53 anni, Pino vende la sua arte in via papa Giovanni XXIII; è un genio: le colombe pasquali fatte con pere e cioccolato, pistacchio e amarene, cereali, frutti di bosco e cioccolato bianco eccetera eccetera. Gli agnellini di pasta di mandorle e all’interno il gianduia, con la testolina modellata da un antico e inimitabile stampo donatogli dal padre che aveva una pasticceria di fronte all’ex cinema Odeon.

Le sculture a tema pasquale fatte con il cioccolato, che si mangiano con gli occhi; capolavori scaturiti sia dalla ricerca pura del piacere sia da un’attenzione ossessiva alla qualità delle forme e da formule segrete perfezionate in giro per il mondo.
Una curiosità. Chi arriva a dirci qualcosa del “Benedetto del lunedì”? Noi dubitiamo che siano in molti tra voi, eccellenti lettori, a saper rispondere. Diamo noi la spiegazione, utilizzando l’unica foto in archivio di questo misteriosissimo piatto. Il “Benedetto del lunedì” si mangiava una sola volta all’anno proprio il giorno di Pasquetta e mai più; col tempo è stato intaccato dalle gite fuori porta è ora è finito fuori dieta. Era la pastina a semi di cicoria insaporita in sugo di agnello ricavato dai pelati e consegnata subito dopo a un brodo arricchito da tante uova, più formaggio, prezzemolo, pepe. Dice la signora Franca che bisognava aspettare che il miscuglio si rassodasse, perché con la compattezza ottenuta il meno famoso Benedetto garantiva un sapore all’altezza del Lunedì dell’Angelo, quell’angelo che ogni anno ci ripete: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui!».

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