BARI - «Se in un Pronto soccorso ci sono quindici codici arancioni, che dovrebbero essere evasi in 15 minuti ciascuno, e altrettanti pazienti in codice azzurro, a cui dare risposta in massimo un'ora, spieghi il candidato come intervenire nei tempi adeguati se i medici a disposizione sono due». Il quesito potrebbe essere utile per selezionare concorrenti in grado di risolvere i problemi che si verificano quotidianamente nei reparti di medicina d'urgenza, o in alternativa per trovare chi sappia fare i miracoli, magari dotato di giratempo stile Harry Potter.
«La verità è che noi medici siamo in trincea e per quanto ci possiamo sforzare fino allo stremo, non saremo mai in grado in queste condizioni di venire incontro alle necessità dei pazienti – dice con un fil di voce dopo un turno notturno di oltre 12 ore Rocco Indellicato segretario generale Usppi Puglia -. La questione emergenza sanitaria è figlia di due carenze concatenate tra loro: di personale che manca e che in sottonumero non riesce a dare risposta alle attese, con la conseguenza che si alimentano le insofferenze e la violenza dei pazienti».
Un problema che necessita di soluzioni. «La risposta più semplice sarebbe: si assuma personale, ma non si trovano medici disposti a lavorare nei Pronto soccorso. I giovani non sono attirati dal sistema dell'emergenza. Quindi è indispensabile rendere gli incarichi più appetibili, alzando gli stipendi».
«La situazione è talmente grave che ogni giorno violiamo i primi due articoli della Carta dei diritti al Pronto soccorso – mette in evidenza Indellicato -. Il primo stabilisce il diritto per il paziente di essere preso in carico e ricevere trattamenti adeguati nel minore tempo possibile. Il secondo del rispetto della persona a non subire riduzioni della propria dignità dovute a strutture inadeguate. Questi diritti oggi non sono in alcun modo rispettati, non possono essere minimamente seguiti. Nella carenza di posti letto dove è la dignità dei pazienti barellati, magari parcheggiati lungo i corridoi?».
Problemi strutturali e generali ai quali si aggiungono situazioni specifiche. «Come il numero di accessi al Pronto soccorso del Di Venere che sono i più alti in assoluto sul territorio – spiega il medico -. Questo perché il 118 centralizza sul Di Venere moltissime emergenze, con la scusa che in ospedale abbiamo una serie di specializzazioni che altri non hanno. Una anomalia statistica più volte segnalata, ma mai risolta. Naturalmente se ci troviamo con un numero esponenziale di accessi, a cascata si crea l'emergenza nel non riuscire a dare risposte a tutti».
C'è necessita di strutture e una seria riorganizzazione. «Prendiamo sempre il Di Venere che è la realtà che conosco meglio – spiega il segretario Usppi –, c'è l'area ex Covid vicina al Pronto soccorso ormai chiusa con 13 posti letto che potrebbe dare una risposta all'emergenza letti. Perché non si riattiva? Poi c'è il problema dell'assenza dei presidi di medicina territoriale che inevitabilmente si scarica sui Pronto soccorso. Il 60-70% dei casi che ci arrivano extra 118, sono codici di bassissima emergenza, perché non riorganizzare il lavoro delle guardie mediche? Perché non arruolare i neolaureati da utilizzare per i codici bianchi, verdi o azzurri? E poi ci sarebbe l'istituzione dei reparti di medicina d'urgenza, questo sarebbe importantissimo, invece se ne parla da tempo senza che nulla si muova. Il progetto prevedeva di attivare presidi a Carbonara, al San Paolo, Monopoli e Altamura per creare nuovi posti letto per le emergenze e al fine di evitare dimissioni precoci, o ricoveri inappropriati nei reparti di degenza, oltre che decongestionare i Pronto soccorso. Tutti propositi rimasti solo su carta. Alla fine il risultato è che i Pronto soccorso scoppiano, i medici sono al collasso e i pazienti, sentendosi abbandonati, diventano aggressivi».