BARI - Voce di un medico dalla trincea. Il dottor Fabrizio Colella, 50 anni, pediatra ha firmato il suo contratto di assunzione con il Policlinico solo un mese fa. Medico preparato, esperto, mentre molti suoi colleghi decidono di fuggire dai turni massacranti degli ospedali pubblici ed i colleghi anziani chiedono più sicurezza e migliori condizioni di lavoro, lui ha lasciato le corsie dell’ospedale «Perinei» di Altamura ed ha deciso di dedicarsi all’emergenza-urgenza. Dal Pronto soccorso del Giovanni XXIII arriva la sua voce dopo una notte tribolata.
Un bambino attendeva di essere visitato. Il padre l’ha aggredita lamentando di aver atteso troppo tempo.
«Nulla può giustificare il ricorso alla violenza - risponde il dottor Colella - in un Pronto soccorso le urgenze si accavallano ma nessuno viene lasciato indietro. Le attese non sono certo dovute alla crudeltà dei medici e degli infermieri ma a un ordine di priorità che pone al primo posto la vita umana. Se qualcuno attende è perché stiamo curando chi è in condizioni più gravi. Nel caso specifico al paziente, per ragioni particolari, era stato riconosciuto un codice di favore. Il bambino non è troppo piccolo o fragile, l’altra notte non era in condizioni di sofferenza o di pericolo imminente. Aggiungo che quando pazienti sono in attesa nel Pronto soccorso e accusano dolori o si creano condizioni di particolare necessità vengono subito soccorsi»
Ma allora cosa è accaduto, come giustifica una reazione così violenta?
«È la domanda che continuo a pormi. Siamo stai noi ad invitare quel genitore e suo figlio ad entrare nell’ambulatorio perché era arrivato il loro turno. L’uomo si è presentato sulla soglia dell’infermeria insieme ad un altra persona non autorizzata. Erano già dentro quando ho chiesto la cortesia di attendere una frazione di secondo, il tempo necessario per chiudere insieme ad una collega una pratica urgente. Lui ha esclamato “Ho già atteso mezz’ora, non perdo altro tempo”. L’ho richiamato subito, pregando il personale infermieristico di farlo rientrare ma lui è andato su tutte le furie».
La guardia giurata è intervenuta per riportare la calma?
«Ha cercato di tranquillizzarlo senza ricorrere alle maniere forti, spiegando a quel genitore che la visita poteva cominciare. La reazione è stata inspiegabile. Si è avvicinato e mi ha minacciato “Tu questa sera finisci in ospedale”. Per proteggermi ho chiuso la porta. L’uomo, dall’altra parte ha sferrato un pugno di una tale violenza da mandare in frantumi il pannello in plastica rigida. Ho sentito il mio sangue colare caldo sul volto. Delle schegge mi avevano colpito. Sono stato curato dai colleghi»
Il bambino ha assistito all’aggressione?
«Credo fosse all’esterno. È tornato più tardi con la madre. Gli altri medici lo hanno visitato, prescrivendo un antibiotico. Non era nulla di grave. I suoi genitori non lo avevano neppure portato dal pediatra di famiglia. Immagino che quel genitore fosse fuori di se per altre ragioni e che abbia così sfogato le sue frustrazioni. Non è giusto. Ho vissuto personalmente una situazione analoga, molto più grave, drammatica che ha toccato la mia famiglia. Da medico so bene cosa succede dietro la porta di un Pronto soccorso. La gente deve capire che siamo dalla loro parte, che lavoriamo per salvare vite non per causare disagi e creare inefficienze».