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Punta Perotti, il Comune e la Regione devono risarcire Andidero

 
Giovanni Longo

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Giovanni Longo

Punta Perotti, il Comune e la Regione devono risarcire Andidero

Enti condannati in solido con il ministero della Cultura1,3 mln a Mabar, verdetto «gemello» rispetto ai Matarrese

Sabato 08 Ottobre 2022, 13:02

Hanno agito in buona fede, confidando in ciò che le pubbliche amministrazioni dell’epoca, avevano garantito: sul lungomare a sud - dicevano - si può costruire. Sulla base di quelle certezze (poi sgretolate un po’ come i palazzi demoliti nella primavera del 2006), gli imprenditori hanno fatto degli investimenti importanti frantumati sotto le macerie. Va detto, il conto non è così salato come quello lamentato dagli imprenditori. Il ricorso della Mabar, infatti, è stato accolto solo parzialmente. La certezza è che un giudice, «quantum» a parte, ha ribaltato il verdetto di primo grado e ha stabilito che i costruttori vanno risarciti.

Punta Perotti, la Corte d’Appello di Bari, ed è la seconda volta nel giro di poche settimane, ha condannato Comune, Regione e ministero della Cultura a risarcire la Mabar, assistita dagli avvocati Saverio Profeta ed Emanuele Bufano. La sentenza è praticamente gemella rispetto a quanto stabilito nella causa pilota, quella più importante (per i numeri in ballo) che ha dato ragione ai Mattrese (anche qui solo sul principio, non su quanto richiesto dagli imprenditori).

Per i costruttori Andidero il danno è stato quantificato dai giudici in 1,3 milioni di euro più interessi, solo una parte rispetto alla richiesta (quasi 29 milioni) e a quanto stabilito da una super perizia (7 milioni) disposta nel corso del giudizio che non è ancora definitivo. Allo stesso tempo, la Corte ha stabilito un principio importante. Anzitutto, la sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo emessa nel 2012 non copre tutto lo spettro dei danni subiti e risarciti all’epoca. Quel verdetto (clamoroso) stabilì che in base al diritto europeo (forse anche al buon senso) non si può assolvere un imputato (in questo caso per lottizzazione abusiva) e poi confiscargli i beni. Di qui la condanna dell’Italia e (primo) risarcimento agli imprenditori, un ristoro che non è niente affatto «all inclusive». Ci sono voci come i costi sostenuti e i debiti assunti dagli imprenditori per programmare, presentare, progettare ed eseguire (parzialmente) l’intervento edilizio che non si possono ignorare o ricomprendere in quel vecchio «pacchetto» ristoratore dell’incredibile pasticcio.

La terza sezione civile della Corte d’Appello di Bari (Michele Prencipe, presidente e relatore, Emma Manzionna e Paola Barracchia, consiglieri), più nel dettaglio, individua la «ingiustizia del danno» nella «perdita subita da Mabar in relazione al piano di lottizzazione» per avere la società sin dall’inizio della complessa procedura «confidato in buona fede, facendo assegnamento sui comportamenti» posti in essere all’epoca da Comune di Bari, Regione Puglia e Soprintendenza per i beni culturali ambientali attraverso atti formali e provvedimenti amministrativi ma anche con comportamenti «omissivi».

Lungo l’elenco delle «condotte gravemente colpose ascrivibili alle pubbliche amministrazioni» individuate dai giudici. Il Comune avrebbe omesso, tra l’altro, di riportare nelle planimetrie catastali i vincoli di inedificabilità sull’area; di richiedere il nulla osta paesaggistico; di inviare il piano di lottizzazione al Comitato urbanistico regionale. Soprattutto, avrebbe «rilasciato concessioni edilizie illegittime ed inefficaci perché emesse in mancanza di un piano di lottizzazione legittimo e in carenza dell’autorizzazione paesaggistica» prevista.

Ma i giudici ne hanno per tutti. La Regione avrebbe trascurato l’attività di vigilanza, «omettendo di inserire l’area di Punta Perotti fra quelle di interesse pubblico». Avrebbe anche trascurato di apporre il vincolo di inedificabilità, non esercitando i controlli dovuti sui provvedimenti dei Comuni in tema di lottizzazione. Anche la Sovrintendenza dell’epoca non ne esce benissimo avendo trascurato - ritiene la Corte d’Appello - di inserire l’area fra quelle di interesse pubblico, «pur essendo perfettamente consapevole che l’area, da piano regolatore, era destinata ad attività terziarie, per non parlare delle funzioni di vigilanza, e tutela del territorio.

Insomma, se gli Andidero avessero saputo che sul lungomare a sud non si poteva costruire, non si sarebbero imbarcati in un’operazione costosissima poi sfociata nella demolizione degli edifici. Ad indurli in errore, una serie di atti disposti da Comune di Bari, Regione Puglia e ministero della Cultura, per questo condannati in solido tra loro a risarcire il danno «ingiusto» subito dall’impresa quantificato 1,3 milioni più interessi. Una cifra che si aggiunge ai 8,7 milioni che sempre gli stessi enti dovranno risarcire alla Sudfondi (Matarrese). Entrambi i verdetti non sono definitivi, intanto il conto a causa di errori commessi decenni fa, ammonta a 10 milioni.

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