BARI - Il primo intervento è quello del Pronto Soccorso Psicologico mobile con l’arrivo degli specialisti sul luogo del crimine domestico per aiutare a comunicare al bambino la notizia della morte della mamma per mano del papà o viceversa. Subito dopo c’è la presa in carico del piccolo orfano per il ripristino della routine nella nuova famiglia affidataria e del rientro a scuola con i compagni di classe. Al termine dell’emergenza, inizia il lungo percorso psicoterapeutico di assistenza sia del minore sia dei caregivers. È quanto prevede il protocollo validato dagli psicologi di GIADA (Gruppo Interdisciplinare Assistenza Donne/bambini Abusati) dell’unità operativa di Psicologia del Policlinico di Bari-Giovanni XXIII a sostegno degli orfani speciali ovvero quei bambini che hanno perso un genitore per mano dell’altro, poi suicida o in carcere.
L’esperienza pilota ormai dell’equipe barese oggi cresce e si trasforma in un progetto più ampio: nasce RESPIRO, la Rete di Sostegno per Percorsi di Inclusione e Resilienza con gli Orfani Speciali. Il progetto di durata quadriennale selezionato da «Con i Bambini» nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile e realizzato grazie a 13 partner attivi su tutto il territorio nazionale, in particolare in Puglia, Campania, Calabria, Basilicata, Sicilia e Sardegna, promuovere un modello di intervento sociale, come prevenzione della violenza domestica. In Puglia sono 12 gli orfani speciali che sono stati privati di entrambi i genitori. L’unità operativa di Psicologia dell’ospedale Giovanni XXIII di Bari ha preso in carico 10 minori dei 12 presenti in tutta la regione.
«In questi anni abbiamo seguito molti casi di orfani speciali, siamo intervenuti sin dai primissimi momenti e abbiamo partecipato attraverso il Pronto Soccorso Psicologico Mobile a tutte le fasi più critiche dei bambini, abbiamo dato il nostro contributo successivamente al reinserimento al riadattamento dei minori in un nuovo contesto di vita fatto di altri caregiver e di un ritorno a scuola, coinvolgendo anche i bambini delle classi frequentate dai piccoli orfani speciali. C’è stata la presa in carico terapeutica che, in molti casi, ha visto anche un lavoro di supporto ai cargiver» spiega Michele Pellegrini, psicologo dell’ospedale Giovanni XXIII e responsabile aziendale del progetto Respiro.