Lo stop del Comune al cambio di destinazione d’uso da uffici (costruiti dopo il 2014) ad abitazioni è soltanto l’ultimo dei provvedimenti dell’Amministrazione nel tentativo di contenere il proliferare di edifici residenziali. Il Piano Casa, dal 2009 perennemente in proroga (la più recente è oggetto di impugnazione da parte del Governo), che prevede interventi di rigenerazione (art. 3: ampliamento) o rifacimento (art. 4: demolizione e ricostruzione), ha inciso in oltre un decennio fortemente (e disordinatamente) sull'evoluzione urbanistica della città. Del resto, chiunque può accorgersi dei numerosi cantieri presenti a Bari, molti dei quali ingolosiscono non soltanto per l’offerta di appartamenti nuovi in zone anche di grande interesse, ma pure per la concomitanza degli incentivi fiscali previsti (vedi sisma bonus), sebbene qualche costruttore speculi innalzando il costo al metro quadro, finendo per incamerare buona parte dei vantaggi invece previsti per gli acquirenti.
PRATICHE Il documento per inquadrare l’andamento complessivo del fenomeno è la relazione sullo stato di attuazione della legge Piano Casa redatta dalla Ripartizione Urbanistica ed Edilizia Privata diretta dall’ingegner Pompeo Colacicco. Secondo quanto riportato nel documento (che inquadrare l’andamento complessivo del fenomeno), dal 2010 a ottobre del 2021 sono state presentate 646 pratiche (e altre ne sono arrivate fra novembre e i primi mesi del 2022), di cui 90 nel 2017, 107 nel 2018 e ben 173 nel 2019 (quando si sono concretizzati gli effetti della disciplina derogatoria del 2015) prima del lockdown che ha determinato una riduzione a 71 nel 2020 e a 62 nei primi dieci mesi del 2021. Numericamente, considerando sia le pratiche riferite agli interventi (art. 3) di «ampliamento straordinario» sia quelle inerenti agli interventi (art. 4) di «demolizione e ricostruzione straordinaria» (nella forma dell’istanza del permesso di costruire oppure in quella di Scia) è il Municipio 2 a primeggiare (Picone, Poggiofranco, Carrassi, San Pasquale e Mungivacca) con 213 domande inoltrate, seguito dal Municipio 1 (Murat, San Nicola, Libertà, Madonnella, Japigia, Torre a Mare) con 168.
VOLUMETRIA Ma a contare di più è un altro dato. Nel periodo considerato (cioè in dodici anni) la volumetria complessivamente attivata (cioè quella corrispondente agli interventi permessi e in via di esecuzione e a istanze con istruttoria ancora in corso, escludendo quindi i provvedimenti di diniego) ammonta a un totale di 1.666.762,36 mc, corrispondente più o meno a un totale di appartamenti in grado di ospitare tra le 15mila e le 17mila persone, quanto (tralasciando ovviamente la densità) Adelfia o Valenzano, oppure Bari vecchia, Loseto e Torre a Mare messi insieme o, se preferite, quanto la metà del Libertà o del San Paolo o di Carrassi. Il Municipio 2 (868.985,77 metri cubi) è quello in cui si è maggiormente costruito (o si sta costruendo o si sta per costruire o si costruirà se l'istruttoria andrà a buon fine) dopo aver demolito, con San Pasquale (leggi via Amendola e dintorni) davanti a tutti i quartieri baresi: i 440.339 mc raggiunti rappresentano praticamente un quarto del totale in città (e dunque circa 4mila nuovi abitanti). Seguono, per quanto riguarda i Municipi, l’insieme fra Stanic, Marconi, San Girolamo e Fesca (cioè il 3) con 363.812 mc e, riguardo ai singoli quartieri, Picone con 315,284 metri cubi di volumetria.
MONITORAGGIO In sostanza, la parte preponderante delle iniziative riguarda i quartieri cittadini compresi tra il fascio ferroviario e la ss16 in una città che complessivamente ha un numero di abitanti in diminuzione. «Quest’ultimo dato (cioè la riduzione della popolazione - n.d.r.), certamente significativo dal punto di vista economico, non si presta - si legge nella relazione - a semplici valutazioni previsionali. L’andamento dell’edilizia, in quanto connesso alle dinamiche di mercato, in termini di incontro tra la domanda e l’offerta, al momento non consente valutazioni circa la sostenibilità a medio-lungo termine del fenomeno indotto dalle possibilità derogatorie introdotte in ambito urbanistico locale dalla legge regionale (Piano Casa). La soluzione regolamentare dell’Amministrazione consente, quindi, di perseguire le trasformazioni “in deroga”, migliorando la qualità dell’edificato esistente, ma, contestualmente, avvicinando le quantità degli standard effettivamente presenti nelle singole realtà territoriali (i Municipi - n.d.r.) a quei minimi previsti dalla norma sulla strumentazione urbanistica. Tanto più che le aree già destinate a “servizi e verde”, prive di edificazione e quindi effettivamente recuperabili alla funzione pubblica, sopravanzano (anche se talvolta di poco) le necessità, valutate rispetto alla popolazione insediata e a quella introdotta con l’edificazione straordinaria. Questa ragione renderà anche necessario proseguire con il costante monitoraggio dell’evoluzione delle attività di trasformazione in deroga anche per aggiornare tempestivamente le disposizioni regolative comunali che si pongono quali strumenti necessari per un corretto processo di ammodernamento dell’edificato».
NON SI DEVE AVER PAURA DELLA BARI CHE CRESCE (di Ninni Perchiazzi) - Oltre 1,6 milioni di metri cubi di cemento riversati sulla città e più di 10 milioni di euro incassati da Palazzo di Città: è l’effetto più evidente del piano casa sul capoluogo. «Chiariamo un concetto: il piano casa interviene su volumi legittimi. Se una costruzione è abusiva non può usufruire della norma che consente di ricostruire un volume pari o maggiore fino a un terzo dell’esistente», afferma Beppe Fragasso, architetto, presidente dell’Ance Bari-Bat. «In pratica, tu elimini dei volumi a carattere industriale o artigianale, li sostituisci con residenze e crei sicuramente un ambiente più salubre - prosegue -. Di fatto, non sprechi suolo, perché utilizzi la stessa superficie con materiali più idonei e se hai un buon progettista, sviluppi tutto in altezza e recuperi superficie libera e verde».
Quindi l’allarme cementificazione non esiste?
«È un vezzo di un certo ambientalismo. Mi devono dimostrare che questo provvedimento abbia peggiorato la città. Anche dal punto di vista estetico, la qualità delle case è certo più elevata rispetto a trent’anni fa. Prima vedevi palazzoni enormi, adesso hai delle firme di architettura, con giovani colleghi fanno delle cose egregie».
Il piano casa va di proroga in proroga da 12 anni.
«Certo non va bene. Chiediamo da sette anni che la norma venga resa strutturale con una legge apposita della Regione Puglia come accade in altre regioni».
Nei giorni scorsi il sindaco Decaro ha preso una posizione netta sui “mix” che prevedono di costruire metà uffici e metà abitazioni. In precedenza lo aveva fatto sulle aree industriali.
«La decisione del sindaco in merito alle trasformazioni delle volumetrie da officine in appartamenti è un blitz per bloccare ciò che la Regione fa in maniera estemporanea. C’è poi chi ha fatto le residenze, ma non gli uffici e con la regia della Regione avrebbe potuto trasformare anche quei volumi in case, prima ancora di costruire. Sarebbe stato un danno evidente alla neutralità del piano regolatore».
I concetti di rigenerazione e riuso rischiano di trasformarsi solo in belle, enunciazioni?
«È indubbio che la rigenerazione urbana sia il futuro dell’urbanistica. Nelle zone più densamente abitate piuttosto che andare a costruire fuori, credo sia meglio densificare la città, per il semplice fatto che i servizi costano meno. Lo testimoniano gli studi in tutto il mondo, tutte le città, da Londra a Nuova Delhi, stanno facendo questa operazione, perché portare i servizi fuori costa tantissimo in termini di trasporto, energia, raccolta rifiuti. Quindi, mettere le persone negli stessi spazi dove prima c’erano le fabbriche, lo reputo un vantaggio. Che vantaggio ha avere in città l’olezzo dell’oleificio o l’odore di bruciatura del caffè?».
Anche da noi abbiamo alcuni esempi.
«La rigenerazione urbana portata alla ribalta dell’assessore Angela Barbaramente è stata fatta col Pirp di Japigia, dove sono state sostituite quelle brutte case di carta con costruzioni adeguate. Con servizi alla residenza, verde e impianti sportivi nell’ambito della compensazione di quei suoli».
Diceva della mutata qualità dell’abitare.
«Oggi tutte le case sono sicuramente a risparmio energetico. Un appartamento nuovo di 80-100 metri quadri non supera i 100-150 euro all’anno di consumo per il riscaldamento. Inoltre si costruisce nel rispetto di norme antisismiche. Il Governo ha investito miliardi con i bonus dedicati alla sostituzione edilizia».
E i soliti furbi hanno fatto man bassa.
«Certo ci sono le truffe, ma sono dei manigoldi e vanno perseguiti. Abbiamo incontrato il prefetto e il procuratore della Repubblica per fermare il fenomeno. L’obiettivo è evitare le truffe anche limitando la presenza di imprese inidonee sotto l’aspetto sia della sicurezza di cantiere sia dello scorretto utilizzo dei fondi».
Torniamo al piano casa. Che fine fanno gli standard urbanistici quando sullo stesso suolo si aumenta la volumetria e quindi la densità abitativa. Viabilità, parcheggi e servizi restano adeguati?
«Se avevi una villa di mille metri cubi al limite potrei avere un palazzo di 1.300 metri cubi. Quindi, se ci sono anomalie vanno segnalate, anche se non penso perché il Comune di Bari ha un ufficio tecnico molto attento».
Poggiofranco, Carrassi (dove sorgerà il futuro Parco della giustizia): l’orizzonte di questi quartieri è costellato dalle gru. L’uso improprio degli strumenti normativi, può portare alla saturazione degli spazi? E che succederà a livello urbanistico?
«Devo dire che è una cosa questa amministrazione sta facendo bene ed è la viabilità anche perché sia il sindaco sia l’assessore ai Lavori Pubblici vengono proprio da quel settore. Penso agli interventi in via Glomerelli o in via Amendola. C’è però una cosa di cui non teniamo conto», dice l’architetto. «Il futuro di tutte le città andrà verso una mobilità “morbida”. L’automobile di proprietà non potrà più essere utilizzata in città, ma servirà solo per andare fuori. È una tendenza mondiale. Nel centro abitato ci si muoverà con un traffico soft. Nelle smart city ci si muoverà con i people movie, traffico urbano ma lentissimo e continuo con navette e metropolitana di superficie. Come ad esempio è previsto sulla costa a sud. Se poi tutti vogliamo prendere la macchina, ci troveremo come al Cairo o a Nuova Delhi come vediamo in certi film. Sottrarre le automobili dalla città è un elemento di civiltà. Se ogni persona usa l’auto, il sistema non è sostenibile».
La monetizzazione degli oneri è un danno?
«Occorre fare un’analisi costi-benefici. Voglio trasformare un opificio in appartamenti, e in molti casi c’è un esubero di suolo per cui ci sono gli spazi per gli standard urbanistici. In altri casi ciò non avviene. Quindi è possibile pagare per compensare l’assenza di questi suoli ovvero monetizzare questi standard. Torniamo a quanto ha incassato il Comune. Da quei 10 milioni di euro quanti autobus elettrici posso comprare? Quanto posso garantire una metropolitana di superficie, una tramivia o altro. Ritengo importante garantire la città pubblica attraverso il reinvestimento di quelli standard in termini di viabilità, di risparmio di anidride carbonica e così via. Poi diventa una questione di educare le persone, magari sganciandole dalla sindrome di Nimby, di tutti coloro che non vogliono che altri invadano i propri diritti acquisiti nel tempo. Occorre capire che non si può avere il vantaggio della periferia - cinema, viabilità, supermercati e altri servizi - e la vicinanza al centro cittadino. Noi parliamo di smart city, che significa città furba, ma se furbi non sono i cittadini è tutto vano».
È una questione di scelte. Bari l’ha fatta?
«Credo che la scelta urbanistica e politica a Bari sia di recuperare i 50mila abitanti che negli ultimi trent’anni sono andati via magari a vivere a Valenzano, Triggiano, Bitritto. Ora stanno tornando, anche perché si sta abbassando il prezzo delle abitazioni, che in proporzione costano meno rispetto a trent’anni fa. Chi è andato via sta tornando dove ci sono i loro padri e madri».
Eppure abbiamo perso oltre 10mila abitanti negli ultimi 10 anni, dati Istat.
«Bari si sta ripopolando. A me risulta che 10-15.000 persone siano tornando. Grazie ai volumi che si stanno generando. Tutta questa paura per la Bari che cresce non la capisco. Noi come baresi non abbiamo un grosso interesse alla Bari che decresce. Pensiamo agli abitanti di Parchitello, che abitano nel comune di Noicattaro, ma vengono a lavorare Bari e in tema di servizi incidono sulla nostra città. Forse se possono venire a vivere a Bari è meglio».
Quindi l’invasione del cemento non c’è?
«I numeri parlano chiaro. Quando sarà finita la sbornia del piano casa, 900mila metri cubi costruiti più 650mila da costruire, che si traducono in 500mila metri quadri, avremo spazio per 12.500 abitanti».
Intanto la gestazione del Prg dura da anni.
«Lo attendiamo. Dovrebbe essere gli sgoccioli, è cosa buona e giusta, ma non lo conosciamo».