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Gerusalemme, il racconto di una cooperante barese

 
Enrica Simonetti

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Enrica Simonetti

Gerusalemme, il racconto di una cooperante barese

Maria Rosaria Borraccia: «Vediamo solo la punta dell’iceberg»

Domenica 16 Maggio 2021, 09:32

Bari - Tra una settimana compirà 29 anni sotto le bombe, nell'assedio e nella paura di Gerusalemme. Maria Rosaria Borraccia, barese, vive a due passi dal Damascus Gate, la famosa porta di cui sentiamo parlare in questi giorni, tra esplosioni e granate che ogni sera echeggiano seminando terrore. La cooperante è arrivata qui nel gennaio scorso e sta vivendo l'inferno di una città e di un universo in cui la violenza cieca annebbia ogni diritto, ogni giustizia.
«Una situazione che mi carica di rabbia», racconta la giovane pugliese, laureata in Relazioni Internazionali e Cooperazione allo sviluppo a Roma.
Come sta vivendo questa emergenza?
«Ci hanno consigliato di restare a casa, di uscire il meno possibile, ma da qui sentire i rumori e le grida, capire attraverso le voci di chi conosco, o i video, i social e la Tv, è un vero inferno. Sarei dovuta andare dal mio ragazzo in Giordania, ma anche lì non si può, troppo rischioso mettersi in viaggio e attraversare altri territori. L'angoscia è che non si sa quando finirà e che ogni momento è peggiore del precedente».
Che idea si è fatta in questi cinque mesi «caldi» a Gerusalemme?
«Anzitutto una cosa che sappiamo tutti ma che è bene ricordare a noi stessi: ora siamo davanti alla punta dell'iceberg, ma tutto va avanti da tanto tempo. Le 13 famiglie palestinesi che sono state sfrattate dalle loro case e che hanno cominciato i sit-in pacifici sono uguali a quelle che nei decenni hanno ricevuto lo stesso trattamento. I coloni sono entrati nel conflitto, la polizia israeliana seda le proteste con ulteriore violenza, le provocazioni religiose sono senza fine e si perde il controllo».
Appunto, la religione... e l'odio.
«La moschea di Al-Aqsa è il terzo luogo sacro per l'Islam. Per fare un paragone, minacciare questo luogo è come minacciare San Pietro per noi. E' stata chiusa all'inizio la porta di Damasco e questo ha impedito l'accesso alla moschea; sui social vedo i video degli assalti durante la preghiera, i lacrimogeni, i proiettili di gomma lanciati dalla polizia israeliana, le granate stordenti, l'assalto al sito di una struttura che sarebbe come la nostra Croce Rossa... ecco, io non voglio essere di parte, voglio stare dalla parte dei diritti umani e mi sembra che qui stia accadendo qualcosa di incredibile».
Il giorno dei razzi ha avuto paura?
«Ero per strada, nella periferia di Gerusalemme, sono stati momenti terribili. La situazione che sfugge di mano è il pericolo peggiore. I palestinesi che conosco mi parlano delle auto incendiate, delle case segnate per dire che lì vivono musulmani e degli assalti di gruppi che pare si organizzino su Telegram. La violenza generalizzata e il fatto che spesso si strumentalizzi tutto, compresa l'informazione, mi fa paura. Una ragazza palestinese che vive nel quartiere africano mi ha raccontato di essere stata tirata fuori dall'auto e malmenata. Ormai accade ovunque, non c'è un quartiere o una città soltanto. Vorrei che ci fosse una narrazione coerente rispetto a quello che sta accadendo e sono piena di rabbia, perché la violenza generalizzata è assurda e calpesta i diritti di tutti».

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