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Bari, operazione Pandora: «Nella 'mafia storica' pure Mercante-Diomede»

Bari, operazione Pandora: «Nella 'mafia storica' pure Mercante-Diomede»

 
Giovanni Longo

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Giovanni Longo

Bari, operazione Pandora: «Nella 'mafia storia' pure Mercante-Diomede»

Depositate le motivazioni della sentenza emessa a gennaio

Martedì 03 Novembre 2020, 12:07

12:08

Non ci sono cosche di «serie A» e altre di «sere B». La mafia c’è o non c’è. L’unica bussola per stabilire se esiste, è verificare se ricorrono requisiti e presupposti previsti dall’articolo 416 bis del codice penale. Ecco perché nell’espressione «mafia storica», si possono, anzi, si devono «legittimamente ricomprendere anche fenomeni mafiosi, come quelli baresi, riconducibili e al clan Capriati e al Clan Mercante-Diomede che (…) per decenni hanno occupato l’interesse delle aule di giustizia fino a decretarne il riconoscimento a pieno titolo, con plurime sentenze anche passate in giudicato, tra le associazioni riconducibili» alla mafia. Parola del gup del Tribunale di Bari Rossana De Cristofaro che ha depositato le motivazioni della sentenza relative alla sentenza di primo grado del processo denominato «Pandora». Lo scorso gennaio, ricordiamo, 90 persone furono condannate a pene comprese tra 12 anni e 16 mesi, accusate a vario titolo di associazione mafiosa pluriaggravata, tentati omicidi, armi, rapine, furti, lesioni personali, sequestro di persona e violazioni della sorveglianza speciale. L’inchiesta condotta dai Carabinieri del Ros, coordinati dai pm Giuseppe Gatti, Lidia Giorgio e Renato Nitti, ha ricostruito quasi 15 anni di criminalità organizzata barese con particolare riferimento ai presunti affiliati ai due clan Diomede-Mercante e Capriati. Alla lettura del dispositivo era presente in aula anche l’allora Procuratore della Repubblica di Bari Giuseppe Volpe.

Passate in rassegna le sentenze che hanno documentato l’ascesa criminale del gruppo, dal passato (che arriva sino al 1998), si arriva al presente in cui il gruppo criminale resta protagonista. Decisivo il ruolo dei pentiti, oltre 50 quelli sentiti dagli inquirenti, appartenenti a tutti i clan della città. Secondo il giudice, infatti, gli elementi raccolti nella monumentale indagini condotta dal Ros, una delle eccellenze dell’Arma, consentono di concludere «nel senso della persistente ed attuale operatività della cosca Mercante/Diomede giacché essi (ed in special modo dalle dichiarazioni dei collaboratori) si trae la prova dello stabile vincolo tra i partecipanti, della consapevolezza e della volontà di costoro di far parte di un organismo proiettato al controllo e allo sfruttamento del territorio con metodologia tipicamente mafiosa, in un contesto organizzativo fortemente strutturato e gerarchizzato», si legge in sentenza.

Dagli atti, secondo il giudice, emerge l’esistenza di un organismo «ontologicamente distinto rispetto ai singoli reati posti in essere, e gerarchicamente ordinato, composto da un elevato numero di consapevoli aderenti, con precisa suddivisione dei ruoli e un vorticoso giro di affari in svariati campi, che fa leva sull’autorità ed il carisma di un boss quale il Mercante Giuseppe, in cui di fatto il sodalizio facente capo ai Diomede viene ad essere inglobato proprio in virtù dei rapporti di dipendenza gerarchica del Diomede Nicola (suo diretto affiliato) dallo stesso». Nelle voluminose motivazioni (ben 1.438 pagine) vengono passati al setaccio i riti di affiliazione, il «valore» dell’omertà, le gerarchie, la solidarietà, la mutua assistenza dei sodali in carcere e la spartenza, le suddivisioni tra gruppi rivali in carcere, le alleanze con altri clan (Parisi, Fiore e Capriati), la struttura verticistica, gli scontri armati per conquistare il monopolio delle attività illecite, la grande disponibilità di armi. E, soprattutto gli affari (estorsioni, usura, droga, gestione delle slot machine, sicurezza nelle discoteche), «numerosi sono i settori illeciti sui quali il clan Mercante/Diomede esercitava il controllo in maniera quasi monopolistica» in un determinato territorio.
Le condanne più alte, ricordiamo, erano state inflitte a Gioacchino Baldassarre (12 anni di carcere), Nicola Diomede (11 anni e 4 mesi), al boss di Bitonto, Domenico Conte (10 anni e 8 mesi).

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