Capitale italiana della cultura: tutti contro tutti, Molfetta contro Bari, Trani contro Bisceglie, Taranto contro la Grecìa salentina. Ed ecco perché ci domandiamo: ma non è possibile raccordarsi e formulare una candidatura unica? Magari c’è anche qualche chance in più di farcela rispetto a Genova o Ferrara o Livorno o Pisa o Verona.
Il tema è affascinante perché, parlando di cultura, ci si domanda quale spessore culturale abbia chi invece di dialogare preferisce arrampicarsi sui campanili. Così, intorno al tavolo della sala riunione, nella sede della redazione della Gazzetta proviamo a dialogare/provocare (e magari fare sintesi). C’è Antonio Decaro, ovviamente, il sindaco di Bari ma anche il sindaco dei sindaci. C’è Michele Abbaticchio, sindaco di Bitonto, città che lo scorso anno arrivò tra le 10 finaliste della Capitale italiana della cultura. Non c’è Tommaso Minervini, il sindaco di Molfetta (impegnato altrove): la sensazione è che Molfetta voglia correre da sola a prescindere dal tentativo di unire le forze. Ci sono anche il rettore dell’Università Stefano Bronzini, il direttore del Conservatorio Corrado Roselli e Augusto Masiello, anima e cervello del Kismet. È facile capire che il discorso della candidatura è solo un pretesto...
Innanzitutto il «dossier», si chiama così. Tu prima ti candidi poi spieghi cosa hai di straordinario e peculiare tanto da meritare il titolo di Capitale italiana. «Preparare il dossier è un investimento pesante - spiega Abbaticchio, reduce dalle fatiche dello scorso anno -. C'è tutta la parte di analisi tecnica per dimostrare che sei in grado di partecipare. Parma quando fece la scelta di candidarsi si affidò alla sua Fondazione per la preparazione del dossier, con l’appoggio di investitori privati. Non si valuta il patrimonio artistico di una città, non ci sarebbe gara tra ciò che già c’è, ma su una sorta di piano che faresti, su come può cambiare la città».
Ecco, questo il punto nevralgico: il cambiamento. Non è solo quello che hai (che già hai) e cioè i musei, i teatri, le cattedrali, i monumenti. La scommessa è l’idea o (usiamo il solito termine un po’ abusato) la visione che con quei musei, quei teatri, quei monumenti vuoi sviluppare per «cambiare» il territorio.
Cambiare. Torniamo al tema iniziale: ci si mette d’accordo o ognuno se ne va per i fatti suoi? Abbaticchio: «Ai molfettesi mi viene da proporre una mediazione, magari creando una commissione con tutti i tecnici dei Comuni metropolitani per un progetto comune. Ripeto, preparare un dossier per un ente locale è oneroso, io a Bitonto sono riuscito a organizzarlo per il fermento che la candidatura produsse, per tutto l’entusiasmo creato. Dopodichè le valutazioni sono su tanti fronti: sulla capacità di incidere sulla società, sulla cultura come grimaldello per la cultura mafiosa, come strumento antimafia».
Bitonto come Bari come tante città e cittadine pugliesi hanno dentro anche quel cuore di tenebra chiamato criminalità organizzata. Le amministrazioni più illuminate e i cittadini più sensibili sanno che la mafia non la si combatte necessariamente con le caserme, i posti di blocco e le manette. Sanno che è possibile opporre barriere contro l’Antistato anche grazie alla cultura. Un esempio? Corrado Roselli: «Circa tre anni fa organizzammo un progetto musicale con una serie di concerti che i nostri allievi tenevano in spazi pubblici nei vari quartieri: al San Paolo, a Carbonara, al mercato di corso Mazzini, alle spalle del Redentore. Era una iniziativa organizzata con i Municipi». Musica in periferia: una cosa bellissima! Tuttavia... «Il risultato fu molto discutibile: mentre i ragazzi suonavano c'era troppo rumore di sottofondo, di chi disturbava. Sicuramente non si può tirare una conclusione dopo una sola esperienza, fu solo un tentativo». Basta crederci, insistere. Ma la testimonianza del direttore del Conservatorio è la più autentica interpretazione del «cambiamento». Di come la cultura può cambiare un’abitudine, può aiutare a crescere, a migliorare.
Ne è convinto Decaro. «Partecipare alla competizione per la conquista del titolo di Capitale italiana della Cultura rappresenta una scelta decisiva guardando al futuro. Non si tratta solo di mettere in mostra le bellezze monumentali e artistiche, valorizzando le iniziative culturali e promuovendo il territorio. Il «dossier» da presentare al Ministero deve raccogliere idee e progetti attraverso i quali raggiungere obiettivi fondamentali in una moderna visione politica della crescita di una comunità: il primato dell’antimafia sociale, che la cultura può aiutare a raggiungere e consolidare attraverso interventi nelle periferie; il radicamento della bellezza, intesa come cultura del bello da opporre al degrado urbano. Anche questa può rappresentare un’altra arma per combattere la cultura mafiosa e l’emarginazione».
Il terzo obiettivo, secondo Antonio Decaro, è proprio il legame tra territori. «Tante sono le città pugliesi candidate al titolo e legittime le aspirazioni di tutte. Credo, tuttavia, nella necessità di fare sintesi, di unire le forze e presentare una candidatura unica. Bari può rappresentare tutta la Puglia in questo momento di grande effervescenza culturale, ma ripeto: diventare Capitale della cultura significa realizzare un percorso che coinvolge le persone. Non è voler privilegiare Bari: la sfida contro città del calibro di Genova o L’Aquila la vinci non solo se hai le carte in regola dal punto di vista dell’offerta culturale. La vinci se hai infrastrutture come l’aeroporto e il porto; la vinci se affermi le idee di cui parlavo: cultura nelle periferie per battere criminalità ed emarginazione, bellezza, ponti tra territori».
E a proposito di «ponti» l’idea di una candidatura che coinvolga Taranto ha una sua forza e una sua logica. Decaro e il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, ne hanno già parlato. Non dimentichiamo che a Taranto lo Stato dirotterà risorse necessarie a superare il momento difficile derivato dalla crisi siderurgica. Gestire tanti soldi: anche questa è una scommessa economica ma anche culturale.
«L’Università in questa sfida c’è, ma capiamoci sulla parola cultura: cultura è migliorare la qualità della vita dei cittadini». Il rettore Bronzini evidenzia alcuni aspetti fondamentali delle sinergie possibili e della collaborazione. «L’Università - dice può giocare il ruolo di ambasciatrice. È necessaria la contaminazione tra territori, la più estesa possibile». Tra Bari e Taranto, per esempio, «due sponde diverse geograficamente, l’Adriatico e lo Jonio, ma l’Università può essere il ponte che unisce nel nome della cultura». Bronzini evidenzia anche che «Bari è una delle poche città italiane dove si aprono e non si chiudono teatri. Va premiata solo per quello». E rilancia l’idea di un Palazzo dei congressi, perché Bari spinga sull’acceleratore del processo di internazionalizzazione.
«È la somma che fa il totale». Cita Totò, Augusto Masiello, quando formula la sua proposta. «Dobbiamo saper mettere tutto insieme - dice - perché avviare processi culturali ampi significa trasformare un suddito in cittadino, costruire spazi di aggregazione sociale e di conseguenza togliere spazio alla mafia. Serve però un regista. Ognuno di noi può fare qualcosa ma serve un decisore. Inoltre serve la presenza della Regione, è una presenza istituzionale che fa la differenza. Partecipare alla competizione come Capitale della cultura serve a modificare un approccio vecchio con uno nuovo, se riusciamo a farlo abbiamo già vinto. Vince chi candida un territorio, per questo bisogna trovare una caratteristica unica, vincono i collegamenti, la capacità di ascolto di collaborazione, di chi sa sintonizzarsi».