«Siamo state sequestrate per 25 ore. Chiuse in una stanza, con un poliziotto che ci sorvegliava, senza documenti, senza poter chiamare o parlare con nessuno. E tutto questo solo per il nostro aspetto». È gonfia di rabbia la voce di Micaela Sannicandro, la transessuale di Bitonto protagonista, insieme alla sua amica Loredana Corallo, di un grave episodio di discriminazione. Le due trans, infatti, sono state fermate dalla polizia egiziana all’aeroporto di Sharm El Sheik, trattenute in una sorta di fermo provvisorio e poi rispedite in Italia con il primo volo disponibile. Tornate a Bitonto, raccontano.
«Eravamo appena atterrate, in fila per il visto d’ingresso. Due poliziotti ci hanno segnalato e ci ha fatto segno di seguirli. Ci hanno portato in un ufficio della polizia, si sono presi i nostri documenti e le valigie che avevamo portato in stiva. Non ci hanno dato nessuna spiegazione. Non parlavano italiano, né noi inglese o arabo». Poco dopo, per tramite dei due compagni di viaggio di Micaela e Loredana, arrivano nell’ufficio le valigie che le due trans avevano imbarcato. «A quel punto, ci hanno fatto uscire dall’ufficio e ci hanno fatto salire su una jeep della polizia, dove un poliziotto con il mitra ha caricato le nostre valigie. Nessuno ci ha detto dove stavamo andando, né perché. È stato il momento in cui abbiamo avuto più paura. Ho pensato che non avrei mai più rivisto la mia famiglia». Loredana commenta: «Nello stesso momento, i turisti che avevano viaggiato con noi dall’Italia salivano sul pullman che li avrebbe portati nel villaggio che avevamo prenotato anche noi. Noi, invece, venivamo caricate su una camionetta della polizia. Senza un perché».
La polizia le trasferisce in un altro edificio interno all’aeroporto, «In una stanza piccola, con un divano e il bagno, senza cibo e senza acqua, con l’aria condizionata che gelava. C’era, seduto davanti a noi, un poliziotto che ci guadava a vista e che ad ogni minimo movimento mi faceva segno: “seduto!”». Così passano le prime interminabili ore. Alle 19.30, più di quattro ore dall’arrivo a Sharm e dall’inizio di questa terribile avventura, «Ci passano finalmente un telefono. Chiamavano dall’ambasciata italiana del Cairo. Ci hanno detto che ci stavano trattenendo perché la polizia egizia aveva problemi con i nostri documenti: li ritenevano falsi. Ci hanno detto che ci sono stati 10 casi come il nostro quest’estate e l’unica cosa da fare era tornare in Italia, il prima possibile», spiega Micaela mentre Loredana tira fuori la sua carta d’identità: «Ecco la mia foto, sono esattamente come sono dal vivo». Micaela precisa: «Entrambe non prendiamo ormoni, né intendiamo fare il cambio di identità all’anagrafe. Siamo così come siamo, quello che vedete. Non avevamo vestiti particolari, niente. Ci hanno sequestrato solo per il nostro aspetto».
Insieme alle prime spiegazioni, dall’ambasciata arrivano anche alcune rassicurazioni. «Ci hanno detto si stavano occupando di noi e ci hanno chiesto se avevamo bisogno di qualcosa. Dopo la telefonata, ci hanno portato l’acqua e mezzo panino». Passa la lunga notte insonne e arriva il mattino. «Non sapevamo nulla di quello che stava succedendo per il nostro caso. Alle 13, con un’altra telefonata, l’ambasciata ci fa sapere che saremmo ripartite nel pomeriggio. Alle 16.30, infatti, ci hanno riportato all’aeroporto e poi ci hanno imbarcato su un volo per Bologna. I poliziotti egiziani ci hanno tenuto d’occhio per tutto il tempo e ci hanno restituito documenti e telefoni solo quando siamo salite sull’aereo». Loredana incalza: «Sono delusa. Mai, in tutta la mia vita, sono stata discriminata, cacciata, trattata in questo modo».
Nei prossimi giorni, gli avvocati valuteranno se procedere legalmente. Nel frattempo, Micaela non si dà per vinta: «Per noi è stato un incubo ma non per questo smetteremo di uscire, di lottare, di andare avanti per quello che siamo. In questo momento difficile, i nostri amici, che viaggiano con noi, hanno fatto di tutto per aiutarci. È grazie a loro se siamo qui. Al ritorno in Italia il mio telefono è stato sommerso di messaggi, tanta gente, tanti sconosciuti, di Bitonto e da tutta Italia, della comunità gay e non solo, che ci hanno fatto sentire tanto affetto e la loro solidarietà. Mi ha scritto finanche un omosessuale egiziano: si è scusato per come il suo Paese ci ha trattato».