BARI - Qualcuno è completamente solo al mondo. Qualcun altro, venuto in Italia cercando fortuna (invano), è deceduto senza che nel Paese d’origine i parenti sapessero nulla. A volte non hanno un nome. La certezza è che i casi di cadaveri «dimenticati» nell’Istituto di Medicina Legale dell’Università degli Studi di Bari sono in aumento. La vicenda della salma di un ex detenuto del carcere di Bari abbandonata da oltre un mese e mezzo in un macabro limbo, tra l’inchiesta aperta dalla Procura e una degna sepoltura che ancora non c’è (ne abbiamo riferito ieri), non è un caso isolato.
«Il fenomeno esiste - spiega il professor Franco Introna, direttore dell’Istituto - e tra l’altro crea non pochi problemi al nostro lavoro che già viene svolto quotidianamente tra mille difficoltà e con risorse sempre più risicate». Da un lato le esigenze della scienza e, soprattutto, quelle investigative di chi è chiamato a «leggere» i segnali che giungono da un corpo senza vita che può raccontare tanto sul perché del decesso e su chi può avere avuto delle responsabilità. Dall’altro il contraltare sociale, la finestra discreta e sommessa che si apre su persone sole, come fossero fantasmi. Sino alla morte. Anzi, anche oltre. «Delle 12 celle frigorifere a nostra disposizione, ormai usate ininterrottamente da 25 anni, un terzo è occupato da cadaveri “dimenticati”.
Brutto dirlo, me ne rendo conto, ma da noi purtroppo è così. Una volta giunte in istituto, le salme, dopo le autopsie, tornano a disposizione dei famigliari per le esequie. Ma in certi casi...». Già, come funziona, nel caso in cui nessuno rivendichi la salma? «Prima c’era la cosiddetta “sepoltura in povertà” - spiega Introna -. Un servizio di pompe funebri pubblico provvedeva alle esequie di chi, purtroppo, era completamente solo al mondo. Pensiamo ai clandestini, in passato abbiamo avuto tanti casi di questo tipo. Adesso, soprattutto a causa della mancanza di fondi, questa possibilità è sempre più ridotta e assicurare la pietà, a volte, diventa più complicato. La nostra non è solo un’attività importante da un punto di vista medico legale, scientifico e investigativo, ma anche sociale». Ovvio che non possano rimanere per sempre lì. Oltre un certo tempo, la strada della sepoltura è obbligata anche per il rischio di decomposizione.
Tra questi cadaveri dimenticati, c’è anche quello di Sabino Di Fronzo, 61 anni, di Triggiano, detenuto nel carcere di Bari e poi trasferito al Policlinico. Nel macabro limbo in cui si trova, l’unico parente a voler fare luce è un anziano zio materno. L’Autorità giudiziaria ha bloccato il rilascio della salma, ma non ha ancora disposto l’autopsia. La conseguenza è che il corpo senza vita dell’uomo si trova a Medicina Legale dal 21 giugno. A chiedere che venga acceso una luce c’è il parente che ha presentato un esposto al posto di Polizia di Stato all’interno del nosocomio barese. Un fascicolo è stato aperto dalla magistratura. Al momento, a quanto pare, è a carico di ignoti. Il pm Ignazio Abbadessa ha disposto il sequestro delle cartelle cliniche in ospedale, il sequestro del diario clinico in carcere e ha delegato la Polizia di Stato a sentire l’anziano zio della vittima che con il suo esposto ha dato il via agli accertamenti. Verifiche che, al momento, non contemplano però l’autopsia. Così Di Fronzo resta tra color che son sospesi, in una delle 12 celle frigorifere buie e fredde di Medicina Legale. Uno dei numerosi casi di «cadaveri dimenticati». Storie di vite difficili di chi neanche dopo la morte riesce a trovare pace.