Il gruppo si rivolge a un compagno musulmano: «Non ti avvicinare. Puzzi perché mangi troppa frittura anche la mattina a colazione». Nel mirino una bambina albanese: «Non ti vogliamo. Il tuo cognome non si può pronunciare» e poi giù con la cantilena. Una parte della classe si rivolge al compagno questa volta barese che ha un lieve deficit di apprendimento: «Vai via, non capisci niente» e la pagina del quaderno viene strappata.
Bulli e vittime, istantanee delle giornate nelle elementari dei quartieri Libertà e città vecchia. Un bilancio del progetto «So… stare nell’amica strada» è stato tracciato da alcuni attori dell’iniziativa, ideata dall’associazione di promozione sociale Clio - Centro laboratoriale interattivo, condotta in partenariato con la cooperativa sociale Aliante, e finanziata dall’assessorato al Welfare con il 5x1000 dei cittadini.
Racconta la consulente Annarita Tatone, psicoterapeuta familiare, impegnata con i ragazzi e con le famiglie: «Nelle classi gli episodi di prevaricazione nei confronti degli alunni più deboli, sia italiani sia immigrati, sono frequenti. Gli insegnanti, preoccupati dalle aggressioni continue, fisiche e verbali, spesso sono costretti a mettere da parte la didattica nel tentativo di arginare i conflitti. Le attività allargate al gruppo classe hanno fatto emergere un disagio profondo. Il bullismo, troppe volte, comincia in casa, con le mamme che escludono dai gruppi Whatsapp le donne indesiderate, e prosegue in classe. Per questo è importante attivare processi di inserimento e di valorizzazione delle vittime allargati alle famiglie».
La bambina albanese dal cognome impronunciabile, da essere fra le migliori, ha avuto un calo nel rendimento. Fa fatica a stare al passo con gli altri anche il piccolo di religione musulmana che vive in un bilocale umido dove ristagnano gli odori della cucina tradizionale del suo Paese d’origine, emarginato a causa delle differenze culturali.
Le attività condotte a scuola sono proseguite all’interno del centro famiglie del Libertà, dove si affrontano problemi legati all’integrazione e alle povertà. L’oppressione, l’isolamento sono l’anticamera della violenza verbale e fisica. Gli insulti pesanti, le ingiurie, le espressioni che danneggiano l’autostima dei bambini fanno male al pari di pugni e calci.
Commenta l’assessore Francesca Bottalico: «Il bullismo, come il cyberbullismo, è un fenomeno talmente diffuso che tutti noi ci troviamo in forte ritardo rispetto a una concreta soluzione del problema. Per questo, insieme alla rete del Welfare, abbiamo cominciato a ragionare su come arginare e contrastare la violenza dei minori sui loro stessi coetanei. Abbiamo investito su progetti, campagne di sensibilizzazione, d’informazione e formazione e su interventi che coinvolgessero tanto le vittime quanto gli autori, lavorando non soltanto con i singoli ma sull’intero gruppo classe.
Abbiamo lavorato anche sull’ascolto dei genitori e delle famiglie di provenienza dei bulli con la collaborazione delle scuole, delle agenzie educative del territorio, di psicologi, educatori e assistenti sociali. In questa direzione vanno i progetti finanziati con il 5x1000 destinato al Welfare, con misure di contrasto delle povertà e con una serie di accordi con enti pubblici e realtà private prevedendo, inoltre, iniziative nei Municipi e su diverse fasce di età e contesti. La stessa attenzione al problema è stata riservata dai centri servizi per famiglie comunali, dove periodicamente vengono attivati corsi e laboratori. È fondamentale continuare a rivolgersi direttamente ai ragazzi nei luoghi della loro formazione e coinvolgere anche famiglie e docenti in un processo essenzialmente di ascolto e di tutela delle vittime. Siamo convinti che anche il bullo sia vittima della propria violenza e che, per superarla, debba imparare a riconoscerla, controllarla e a rielaborarla».