Sosteneva Eleanor Roosevelt (1884-1962), moglie del presidente americano artefice del New Deal e della vittoria contro il nazismo, che le grandi menti parlano di idee, le menti mediocri parlano di fatti e le menti piccole parlano di persone. Se la First Lady più longeva e influente di sempre (alla Casa Bianca) avesse l’opportunità di lasciare l’Aldilà per farsi un viaggio nell’Italia 2020, prenderebbe atto che la Penisola è affollata, stracolma di menti, diciamo così, piuttosto piccoline. Infatti. Di menti che parlano di idee se ne notano pochissime in giro. Di menti che parlano di fatti se ne vedono poche. Ma di menti che parlano di persone ce ne sono tante, tantissime: sono, andare sui social per verificare, la maggioranza rumorosa del Paese.
Le campagne elettorali costituiscono, di anno in anno, il campo d’osservazione più probante della tesi rooseveltiana. Discutere di idee? Manco per scherzo. Discutere di fatti? Solo per sbaglio. Discutere di persone, che poi significa discutere dei loro progetti di carriera? Sì, in continuazione, in ogni momento della giornata.
Eppure la storia e, a volte, anche la cronaca dimostrano che mentre ci si concentra sulle mosse, sulle scelte, sulle vicende personali di leader, presidenti, governanti e amministratori vari, la fascia più dinamica di una nazione cresce per conto suo, inventa prodotti, percorre altre strade produttive, affronta sentieri mai esplorati. Insomma, ignora i lacci e i condizionamenti del Sistema e del Contesto per porsi come traguardo una nuova frontiera che, spesso, neppure lei conosce. Del resto, il progresso dell’umanità storicamente è dipeso dal modello, dal fattore Cristoforo Colombo (1451-1506): si parte per le Indie, ma ci si può casualmente ritrovare altrove, in un nuovo mondo.
Purtroppo il basso indice di lettura di libri e giornali non giova alla formazione di grandi menti e di leadership culturali, quelle che vivono per le idee e per le soluzioni razionali (non emotive) dei problemi. Se non si legge, se non si studia molto, come si fa ad allenare la mente? Impossibile. Assai più comodo, assai più facile, appassionarsi alle singole persone, ai loro disegni arrivistici, alle loro polemiche più o meno interessate, alle loro esternazioni sempre più inconcludenti. Gli stessi giornali, spesso, cadono nella trappola della personalizzazione totale della politica, che poi significa occuparsi dei tornaconti, delle carriere dei singoli e non dei problemi di tutti. E quando la personalizzazione della politica si diffonde a tutti i livelli, la qualità della rappresentanza diventa un optional: se c’è bene, se non c’è pazienza. E sempre più di frequente non c’è. Conseguenze automatiche: un relativismo politico-etico-culturale se amiamo gli eufemismi; un carrierificio, un poltronificio plateale-spudorato-costoso se amiamo la franchezza lessicale.
Purtroppo la pandemia, imponendo misure di isolamento, ha contibuito ad aggravare il fenomeno, ossia ad allungare la distanza delle varie nomenklature dai altri problemi reali della gente. Cosicché la classe politica ha potuto continuare, indisturbata, a selezionare candidati e para-candidati solo sulla base del classico binomio fedeltà-voti, mentre fasce sempre più estese dell’opinione pubblica si sono adeguate al gioco, ossia ai sogni di carriera di legioni di candidati, senza informarsi, senza interessarsi minimamente della loro storia, delle loro idee, del loro livello culturale, della loro preparazione politico-amministrativa. Gli animi più comprensivi nei riguardi dell’andazzo in atto potrebbero obiettare che non è il caso di scandalizzarsi troppo dal momento che la carriera politica in Italia costituisce ormai il metodo più collaudato, forse l’unico, di promozione, di avanzamento sociale. E chi non ha alcuna intenzione di confrontarsi con le sfide della tecnologia, della modernità, sull’impervio terreno della conoscenza, sovente abbandonando i confini nazionali, non ha che da partecipare al più maestoso mega-concorso pubblico del globo, che poi sarebbe il voto made in Italy.
Il Grande Pubblico non è esente da colpe, perché partecipa al Grande Gioco, salvo poi borbottare o protestare quando la situazione peggiora o alcuni eletti palesano in maniera plateale i propri limiti. Altro che elezioni come selezioni di capacità.
Certo. La continua disaffezione al voto è la spia del profondo malessere che alberga in vasti settori del Belpaese. Ma di sicuro l’assenteismo non costituisce motivo di consolazione. Anzi. È una risposta peggiorativa del male, visto che delega a una minoranza agguerrita e ideologizzata decisioni di portata generale.
Non è facile trovare una via d’uscita alla personalizzazione assoluta della politica. Non è facile perché la soluzione dovrebbe partire dal basso, non dall’alto, dove gli interessi spingono in tutt’altra direzione.
Doveva essere la società dell’informazione. E così è stato. Così è. Ma questa è la società dell’informazione, il più delle volte gossipara, sulle persone, non già sui problemi del Paese. Tanti nomi, pochi fatti, pochissime idee.