Nel libro «La politica degli imperi aristocratici», lo studioso austriaco John H. Kautsky ricorda che l’economia europea superò sensibilmente l’economia cinese solo con l’invenzione della macchina a vapore nel 1698. Ma quel sorpasso - è il caso di aggiungere - non si sarebbe verificato se nel contempo in Europa non si fosse affermato il primato del diritto, il rule of law, il cui obiettivo principale era la conservazione della pace, a sua volta causa (ed effetto) della crescita economica.
Economia e diritto devono marciare e progredire insieme. In caso contrario, addio progresso sociale, addio avanzata culturale. Senza il diritto commerciale non si sarebbe sviluppata la civiltà degli scambi tra le nazioni, anche al di fuori del controllo dei relativi governi. Senza l’evoluzione costante del diritto, gli stessi scambi, per natura sempre vantaggiosi, talvolta avrebbero potuto provocare qualche grave effetto collaterale. Ad esempio senza una legge ad hoc, lo scambio può persino degenerare in servitù o schiavitù. Il che non si addice a una società liberale, semmai a un ordinamento feudale o preindustriale.
Grazie al commercio regolato dal diritto progredì l’industria e in Europa si diffuse la ricchezza. Grazie alla ricchezza aumentò il tempo libero, e grazie al tempo libero poté fare strada la cosiddetta cultura di massa.
Ecco perché l’Unione Europea non va messa in quarantena. Non va messa in discussione neppure per scherzo, né va picconata per amore di polemica politica o di tornaconto elettorale. Senza l’Unione Europea salterebbe la felice combinazione che ha consentito il più spettacolare miracolo economico mai avvenuto nella storia del genere umano. Senza l’Unione il controsorpasso cinese, già in atto da qualche anno, dopo tre secoli di predominio europeo, assumerebbe proporzioni colossali, con concreti rischi di inevitabile totale subalternità da parte del Vecchio Continente nei confronti della superpotenza asiatica.
Chi dà prova di piena consapevolezza della posta in gioco è il presidente della Repubblica. Nei giorni scorsi Sergio Mattarella, sia pure in due interventi distinti, ha accomunato diritto ed economia con un linguaggio e con un tono solitamente piuttoso sporadici sul palcoscenico della politica nazionale. In un testo indirizzato alla Consob, Mattarella ha sottolineato la centralità del mercato nel processo di ripresa del Paese dopo una crisi sanitaria senza precedenti. In un discorso rivolto ai magistrati, Mattarella ha messo in risalto la centralità della certezza del diritto: «I nostri cittadini hanno diritto a poter contare sulla certezza del diritto e sulla prevedibilità della sua applicazone rispetto ai loro comportamenti. Questo vale - a partire naturalmente dalle scelte del legislatore - per la giustizia civile come per quella penale, per quella amministrativa come per quella contabile: non possono essere costruite ex post fattispecie e regole di comportamento».
Mercato e diritto sono i presupposti per la ripresa produttiva. Soprattutto nel Sud, dove, come in tutto il Mediterraneo, la personalizzazione del comando è più accentuata rispetto al Nord e al resto d’Europa. Il che, ovviamente, non costituisce un fattore di modernità e di razionalità nell’allocazione delle risorse e nella destinazione degli investimenti.
Mercato e diritto dovrebbero procedere e vivere insieme. Invece da sempre, in Italia, coabitano da separati in casa, in una sorta di lockdown permanente. Eppure la connessione tra diritto ed economia non dovrebbe sfuggire nemmeno agli spiriti più distratti. Non esiste alcun mercato che non poggi su basi giuridiche, a iniziare dalla semplice distinzione tra ciò che è mio e ciò che è tuo.
Non c’è mercato senza certezza del diritto, non c’è diritto senza garanzie per l’economia, ossia per chi lavora e produce. «Tutti coloro che vanno alla fiera - scriveva Luigi Einaudi (1874-1961) - sanno che questa non potrebbe avere luogo se, oltre ai banchi dei venditori, i quali vantano a gran voce la bontà della loro merce, e oltre alla folla dei compratori che vuole prendere in mano le scarpe per vedere se sono di cuoio o di cartone, non ci dosse qualcos’altro: il cappello a due punte dei carabinieri che si vede passare sulla piazza, la divisa della guardia municipale che fa tacere due che si sono presi a male parole, il palazzo del municipio, col segretario e il sindaco, la pretura e la conciliatura, il notaio che redige i contratti, l’avvocato a cui si ricorre quando si crede di essere imbrogliati in un contratto, il parroco il quale ricorda i doveri del buon cristiano, doveri che non bisogna dimenticare nemmeno in fiera».
L’emergenza da Covid ha reso ancora più evidenti le cattive relazioni che, in Italia, intercorrono, su binari paralleli, tra diritto e mercato. Servirebbe una sorta di Convenzione tra politici, politologi, giuristi, economisti, sociologi ed esperti vari che faccia chiarezza, per cominciare, nel rapporto tra diritto pubblico e diritto privato, tra ordine stabilito e ordine spontaneo. Purtroppo, si tende a trascurare questa anomalia che scoraggia molti investitori e deprime parecchi risparmiatori. E se questi problemi si avvertono nell’Alta Italia, ancora di più si soffrono nella Bassa Italia, dove alcune aree, per citare una battuta di Romano Prodi, non hanno ancora raggiunto lo stadio di industria 1.0, figuriamoci le successive più raffinate numerazioni.
La tempestività degli interventi, la rapidità nella realizzazione delle opere, la trasparenza nelle procedure adottate: tutto dipende dalla connessione tra diritto e mercato, tra legge ed economia.
Purtroppo, tra diritto e mercato, tra giuristi ed economisti, permane un clima di reciproco sospetto, forse originato da un’infelice delimitazione dei programmi di studio scolastici. La qual cosa, poi, si ripercuote sul piano legislativo, dove il formalismo giuridico tende a dilagare come un tifone nei paesi equatoriali.
Ma se il Belpaese vuole davvero ripartire, e in alcune aree addirittura partire, il primo pulsante da premere dovrà avviare la connessione tra diritto ed economia. Altrimenti, si potranno varare i migliori progetti del mondo, ma i risultati non arriveranno mai. O tutt’al più si affacceranno con rinnovato ed estenuante ritardo.