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Ricominciare dall’acqua per non restare tutti a secco

 
Giuseppe De Tomaso

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Giuseppe De Tomaso

Ricominciare dall’acqua per non restare tutti a secco

In un Paese allergico agli «scatoloni vuoti», la penuria idrica sarebbe già da tempo la priorità delle priorità

Domenica 14 Giugno 2020, 13:44

Luigi Einaudi (1874-1961) li chiamava gli «scatoloni vuoti»: si riferiva ai concetti altisonanti, ai proclami inversamente proporzionali ai loro contenuti. Gaetano Salvemini (1873-1957), animo iconoclasta e dissacrante quant’altri mai, consigliava di «battere con le nocche sull’intonaco delle parole per sentire quel che c’è dietro: il gesso, la pietra viva o il vuoto». Sappiamo tutti che nell’era della comunicazione per la comunicazione, gli «scatoloni vuoti» la fanno da padroni molto più di quanto succedeva ai tempi di Einaudi e Salvemini, ma ogni tanto bisogna pur spegnere l’interruttore per riavvolgere il nastro.

In Italia i piani di lavoro e i tavoli di discussione si moltiplicano come conigli e si rincorrono come cani nel cortile.
Il più delle volte le soluzioni indicate sono la rimasticatura e la ricopiatura di testi già eleborati e destinati, inesorabilmente, all’oblio. Tra l’altro, di tutto trattano, alcuni dossier, tranne che dei temi davvero decisivi per il futuro di una comunità.

Esaminiamo, ad esempio, la questione dell’acqua che, secondo uno studio presentato dalla Banca Mondiale già diversi anni addietro, rappresenterà nel ventunesimo secolo ciò che ha rappresentato la guerra per il petrolio nel ventesimo secolo. C’è qualcuno che se ne occupa o se ne preoccupa nei consessi di questi giorni? Eppure il problema dell’acqua sarà centrale in Italia, soprattutto nel Mezzogiorno e ancora di più in Puglia, regione che è assetata per tradizione e definizione («sitibonda»). In un Paese allergico agli «scatoloni vuoti», la penuria idrica sarebbe già da tempo la priorità delle priorità. Ma siccome la classe politica tende a dare soddisfazione alle istanze dei più vocianti gruppi di interesse - puntando ai loro quantificabili voti elettorali - più che alle necessità dell’intera collettività (i cui voti elettorali non sono calcolabili nelle destinazioni partito per partito), va a finire che i problemi generali scivolino, è il caso di dire, come l’acqua, mentre i problemi particolari dominano la scena meglio di Donald Trump e dei suoi strampalati comizi.

La Puglia, ad esempio, avrebbe bisogno, quasi, di un secondo Acquedotto, o di un qualcosa che gli somigli, che importi l’acqua dalle regioni affacciate sull’Adriatico. Il glorioso Acquedotto Pugliese, peraltro, merita di essere vieppiù ristrutturato, per ridurre o evitare le perdite d’acqua causate da condutture datate. Un Paese normale dovrebbe mettere un obiettivo di tal fatta in cima alla sua agenda programmatica, anche perché la domanda d’oro blu tende a crescere a oltranza mentre l’offerta tende a decrescere con costanza, vuoi per gli aumentati consumi, vuoi per le siccità ricorrenti, vuoi per le bombe d’acqua non assorbite dal suolo, vuoi per i capricci del clima, vuoi per gli invasi insufficienti.

Neppure la previsione che le future migrazioni dei popoli saranno determinate e orientate dalla frenetica corsa all’acqua è riuscita in questi anni a scuotere il torpore e la rassegnazione di fronte a un’emergenza la cui gravità, a breve, potrebbe persino oscurare la pandemia tuttora in atto.
Servono soldi, servono progetti per dotare l’Italia e specialmente la Puglia di un’instrastrutturazione idrica degna di questo nome. Servono soldi europei e nazionali. E soprattutto serve un approccio, un atteggiamento politico-culturale anti-campanilistico e anti-autonomistico sugli investimenti da realizzare. Quando venne varata la riforma del Titolo Quinto della Costituzione (2001), che di fatto apriva le porte a una secessione a rate nel Belpaese, arrivammo a ipotizzare il pericolo di un’Intifada dell’acqua.

Era un’esagerazione, ma cosa potrebbe accadere se una regione ricca di sorgenti idriche dovesse alzare le pretese economiche (anti-mutualistiche) sul «bene comune» per eccellenza? Mandiamo i carri armati ai suoi confini? Ecco perché l’emergenza idrica non va derubricata a cantiere regionale o territoriale. Bisogna impedire che le Regioni litighino sull’acqua così come hanno litigato sul coronavirus e sulle date di riapertura di negozi e scuole. Bisogna fare in modo, poi, che realtà come l’Acquedotto Pugliese mettano il loro retroterra tecnico-scientifico al servizio di questo mega-progetto di ammodernamento idrico-fogniario della Penisola. Parentesi: quando il sindaco di un paese piemontese illustrò a Einaudi la decisione del consiglio comunale di realizzare una biblioteca, l’economista divenuto capo dello stato domandò sùbito se quel piccolo centro avesse la fogna. «No», rispose il primo cittadino. «Allora - incalzò il capo dello stato, che pure era un intellettuale bibliofilo - fate prima la fogna e poi la biblioteca».

Ecco perché bisogna accelerare i tempi dei programmi di ristrutturazione della rete idrico-fogniaria. Bisogna scongiurare il rischio di un nuovo Far West. Ricordate? Un paio di secoli fa la lotta per il controllo dell’acqua fu particolarmente dura in California, ma in un primo tempo le istituzioni pubbliche adottarono una linea pilatesca, tanto che venne varato un sistema di diritti privati per consentire l’acquista e la vendita dell’«oro blu». Il principio giuridico, in piena logica da Far West, era «first in time, first in right», versione anglosassone del concetto latino «qui prior est in tempore, potior est in iure» (chi è primo nel tempo, è primo nel diritto). Ma nel giro di pochi decenni la normativa Usa si europeizzò abbandonando il principio del «chi arriva prima, è il padrone». Dai diritti individuali di proprietà si passò a un impianto giuridico fondato sulle concessioni all’utilizzo dell’acqua. Morale: anche nella liberistica America, un potere superiore, né individuale e né territoriale, diventava l’arbitro di una contesa che, altrimenti, avrebbe lacerato la società come, quando e quanto la corsa all’oro-oro narrata in migliaia di film.


Conclusione. Sarebbe ora di chiudere e gettare definitivamente gli «scatoloni vuoti». Sarebbe ora di riempire i quaderni con progetti concreti e urgenti. Quello sul potenziamento degli impianti idrici merita, a nostro modesto parere, il primo posto nel menù della spesa. Ne va dell’Italia, ne va del Sud, ne va della Puglia.

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