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«Io e l'antico
cammino per Brindisi»

 
Rita Schena

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Rita Schena

Rumiz

Lunedì 03 Ottobre 2016, 09:48

di GIUSEPPE Di MATTEO

«L’abbiamo ricoperta di tangenziali, parcheggi, supermercati, campi da arare, cave, acciaierie, sbarrata con cancelli, camuffata con cento altri nomi, presa talvolta a picconate peggio dell’Isis. Ma lei resisteva. E chiedeva di essere percorsa, vissuta». Nel suo ultimo libro Appia (Feltrinelli) - presentato a Conversano in occasione del festival Lector in fabula - Paolo Rumiz, giornalista e scrittore, ha restituito agli italiani la strada più antica d’Europa dopo decenni di rimozione collettiva.
Eppure l’Appia, nata per volere del censore Appio Claudio Cieco e costruita tra il 312 e il 190 a.C. per collegare Roma prima a Capua e poi a Brindisi seguendo l'avanzare delle conquiste romane nell'Italia meridionale, è un patrimonio storico inestimabile che appartiene al Paese perché ci riporta a storie e radici lontane sulle tracce di Orazio e Virgilio (che proprio lì si incontrarono), seguendo le orme delle legioni verso Brindisi e dei mercanti greci carichi di pesce delle isole Cicladi in direzione della Città Eterna. Ma l’Appia è anche il luogo della crocifissione di Spartaco, del corteo funebre di Augusto, della salita delle «Forche Caudine», di campanilismi atavici ancora oggi presenti e che interagiscono con una romanità che, avanzando verso sud, comincia pian piano a sbiadirsi nelle identità locali. Una sorta di moderno zibaldone scritto «per dovere civile più che per esigenze di letteratura» attraverso un viaggio appassionante a piedi di 29 giorni lungo un tragitto di oltre 600 chilometri in compagnia di personaggi celebri e occasionali, tavolate imbandite «per amore vero» e rapporti incredibilmente riannodati grazie alla riscoperta di un patrimonio comune nel quale riconoscersi.

«Con questo viaggio ho cercato di raccontare un pezzo di storia che ci appartiene in un modo per me inedito - spiega Rumiz - vale a dire utilizzando il mezzo da sempre a disposizione dell’uomo: i piedi». Per farlo è stato necessario un lavoro lungo e certosino, basato soprattutto sulla consultazione delle mappe dell’Istituto Geografico Militare, le uniche che conservano ancora la memoria cartografica di un itinerario «cancellato non dai barbari che posero fine all’Impero ma da quelli del secolo scorso», e oggi rinato.
Qualcosa però sta cambiando. Sempre più italiani cominciano a riappropriarsi (e a percorrere) di uno spazio che, si spera, possa diventare un percorso turistico simile a quello di altri grandi tragitti europei molto rinomati. «A differenza del Cammino di Santiago di Compostela, che termina in un luogo preciso, la via Appia ha senso in entrambe le direzioni di marcia e la sua ultima tappa è il preludio dell’Oriente - conclude Rumiz -. Grazie a essa i Romani controllavano territori come l’odierna Libia e i Balcani, che invece oggi ci sfuggono».

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