Un ritorno alle origini con lo sguardo rivolto in avanti e quella malinconia leggera che abbraccia da sempre la sua musica. Carl Brave torna in Puglia, questa sera, venerdì 17 ottobre, all’Eremo Club di Molfetta, per una tappa del «Notti Brave Amarcord Tour». Un appuntamento che arriva dopo i live estivi e dopo lo speciale «street tour» che ha portato i brani dell’ultimo, omonimo album direttamente in mezzo alla gente (ha fatto tappa anche a Lecce). E ora è il momento di tornare sul palco, dove tutto ricomincia, tra ritmo, parole e memoria, prima nei club della penisola, poi il 27 novembre al Palazzo dello Sport della sua Roma, per il gran finale.
Carlo, il tour è partito ieri sera da Napoli, tutto inizia al Sud...
«Sono molto contento, carico, ormai dopo tanti anni vivo il live con una mentalità diversa, c’è meno ansia. Adesso assume tutto una dimensione di sfogo, divertimento».
Quella parola «Amarcord», ricorrente in questo progetto, a quale momento di nostalgia la rimanda?
«Mi mancano tante cose del mio passato, soprattutto momenti con i miei genitori, quando andavamo a giocare a basket o venivano a vedermi suonare. Parlo di ricordi soprattutto familiari, un legame molto intimo».
È vero, il disco è molto introspettivo, ma maturo. È una cosa voluta, magari ora che ha superato i 35 anni...
«Qualche tempo fa parlavo con un amico con cui sono cresciuto, siamo andati insieme all’asilo, abbiamo condiviso tutto. Lui sta facendo un film su suo padre, sulla sua giovinezza. È come se fosse un rito di passaggio: ormai siamo adulti, è un chiudere con il passato, con l’adolescenza, e tutti e due, a modo nostro, l’abbiamo raccontato. Questo è un disco autobiografico: tutto quello che canto mi è successo, l’ho vissuto. E solo adesso, dopo tante esperienze, ho potuto scriverlo: prima non ci sarei riuscito»
Questa maturità si riflette anche nella ricerca musicale, nei brani c’è tanta elettronica e virano verso atmosfere più dark. Perché questa direzione?
«Ho cercato di produrlo in modo diverso, volevo dargli un suono tutto suo. Tutti i pezzi, dal punto di vista della produzione, seguono un filo conduttore: batteria rap, suoni ampi, vaporosi. È un disco che guarda indietro, racconta il passato, quindi anche i suoni sono spesso in reverse, c’è più mestiere, più tecnica nella produzione. Alla fine la scrittura è istinto: racconti immagini, emozioni. La produzione, invece, è un lavoro più ragionato. E mi piace che ogni disco abbia una sua identità sonora».
Tornando al tour, la data finale sarà al Palazzo dello Sport di Roma. Nemmeno per quel palco c’è un po’ d’ansia?
«No, anzi è bellissimo! Roma è sempre la data più bella, a casa mia, c’è una magia speciale, e in un posto così grande ancora di più. Emozione, quella sì che c’è».
Roma è sempre presente nei suoi testi, nelle canzoni, nei video. Se dovesse descriverla oggi con un’immagine quale sarebbe?
«L’isola Tiberina. È lì che sono nato, mi sono successe tante cose. È la “mia” immagine di Roma, quella che porto sempre con me».
L’abbiamo detto, ogni suo disco ha una “personalità”, ma qual è il vero “marchio di fabbrica” di Carl Brave dal punto di vista sonoro?
«È cambiato tanto nel tempo, ma direi il lavoro sui fiati. È una cosa che si usa poco, ma io li metto in quasi tutti i brani. E poi il linguaggio, le immagini. Le mie canzoni sono piene di foto, di scatti, salto da un’immagine all’altra. È una scrittura molto visiva, quasi cinematografica».
Durante lo street tour è passato anche da Lecce: quest’esperienza di contatto così diretto col pubblico cosa le ha lasciato?
«L’ho voluto fortemente quel giro. Volevo tornare a quella dimensione delle origini, quando avevi la gente intorno, vicina. Con il tempo e i palchi che diventano più grandi, sei più lontano dal pubblico, avevo bisogno di risentire quell’energia. È stato incredibile, e dico la verità, ci stavo prendendo gusto...».
Che rapporto ha con il successo? Le capita mai di fermarsi e dirsi: «Sono stato bravo»?
«In realtà sono uno che guarda sempre avanti. Appena faccio uscire qualcosa, mi metto subito a lavorare a un nuovo progetto. Però sì, ogni tanto me lo dico. Sono soddisfatto dei miei pezzi, anche se ho sempre quella spinta che mi fa andare oltre. E forse è proprio quello il mio trucco: non è insoddisfazione, è voglia di fare sempre di più, di migliorarmi e di andare avanti».